Ciao Mc Ivanhoe. È un onore avere sulle nostre pagine un veterano del rap. Sciogliamo il ghiaccio: racconta ai nostri lettori un ricordo particolare legato alla musica che non hai mai rivelato a nessuno.
Uno dei ricordi che mi è rimasto in mente è quando il proprietario di una pizzeria sul lungolago di Como mi ha riconosciuto, essendo mio grande fan, e dopo avermi chiesto la foto e l’autografo mi ha trattato benissimo per tutta la cena e la serata. Io ero un po’ in imbarazzo perché il locale era pieno, ma lui serviva sempre prima me e mi offriva bottiglie di vino della casa. Le altre persone guardavano curiose. È stato davvero un grande e poi è sempre bello sapere che la propria musica e il proprio nome girano e vengono apprezzati dalla gente.
Fai musica da due decadi. Hai collaborato con importanti nomi della scena, coi tuoi videoclip ci hai portati ovunque, e con le tue rime hai sperimentato su beat dalle più svariate sonorità. Cosa ti hanno lasciato queste esperienze? Quali sfizi vorresti toglierti, oggi?
Ogni suono e ogni testo raccontano un momento particolare della mia vita, che sia gioia o dolore. Mi piace vedere i miei lavori come una specie di album fotografico del mio vissuto, e un giorno, quando sarò più anziano, potrò dire ai miei figli che io non ho scelto di essere come tutti ma che facevo questa cosa del rap. Anche se magari risulterà strana e ci rideranno sopra, almeno avrò la mia vita a portata di canzone.
Come sfizio personale vorrei riuscire a fare ancora di più e un giorno cantare in Piazza Duomo a Milano, è un po’ il secondo mio sogno nel cassetto. Il primo era l’Hip Hop Tv Day al Forum di Assago e quello l’ho realizzato esibendomi nell’ultima edizione.
Facciamo il gioco della torre. Limitandoti ai tuoi colleghi rapper, chi salvi, chi butti giù e chi invece fai marcire nelle segrete del castello? Niente scrupoli.
Non mi piace molto fare nomi perché non si sa mai con chi potrei collaborare in futuro. Ad ogni modo faccio un’analisi basata sui miei gusti attuali. In tutta onestà ultimamente ascolto molto Ghali che nella nuova scuola credo sia il migliore. Mi piacciono tanto Fabri Fibra e Marracash che sono dei veri e propri scrittori, dai primi lavori agli ultimi: il mio rispetto non è cambiato. J-Ax è un grande paroliere, al pari di Caparezza, che non considero proprio rap ma più crossover. Su Fedez ammetto di non amare come rappa, ma lo rispetto come business-man, sa fare il suo lavoro. Se devo proprio far marcire un rapper nel castello scelgo quello che tutti i portali hip-hop italiani spingono ora, cioè OG Eastbull: con tutto il rispetto per la sua persona, ma questo “personaggio” non ha nulla a che fare con il rap, e non capisco perché lo spingano così tanto.
Negli ultimi anni il rap è entrato prepotentemente nelle classifiche italiane, un po’ grazie alle nuove generazioni attente ai nuovi trend, un po’ per la conversione a sonorità più commerciali della vecchia guardia. Tutto questo ha fatto perdere credibilità a tutta la scena, o in qualche modo questo exploit ha favorito anche chi è rimasto fedele alla linea?
Questa è una bella domanda perché si sono create due fazioni: chi segue solo la roba old school e chi invece solo il filone nuovo più trap. A me piace sia il vecchio che il nuovo, perché sono il primo a credere nella sperimentazione, se no non avrei fatto brani come un altro shot insieme a Max Coccobello di M2O e Sammy Love.
La cosa importante è rispettare il passato e sapere da dove arriva questa musica. Ultimamente si sentono anche canzoni rap razziste. Questo è un grande controsenso, perché il rap è nato come musica dei neri, quindi stai usando un loro mezzo preso in prestito per insultarli, e non ha senso. Per concludere, credo che se un rapper della vecchia scuola è bravo, la nuova ventata non lo sfiorerà neanche e continuerà a farsi ascoltare.
Mc Ivanhoe, parliamo del tuo ultimo singolo “Narghilè (Shisha rap)”. Questa volta ti sei lasciato contaminare dal mondo arabo. Non hai scelto il periodo storico migliore per farlo. Quanto è importante far entrare influenze diverse nelle proprie canzoni? Alcuni puritani preferiscono non adottare mai un nuovo sound, ma non è certo il tuo caso.
Secondo me la contaminazione tra diverse culture può generare grandi cose in campo artistico. Delle volte tendiamo a innalzare muri verso ciò che è diverso, quando invece si può lavorare assieme e fare grandi cose. Io credo che dire che tutti gli arabi sono terroristi sia come dire che gli italiani sono tutti mafiosi, e si sa che non è così. Aldilà del periodo storico non molto favorevole, sono sempre stato affascinato dall’Oriente, e frequentando molte volte il locale El Jadida di Milano ho voluto fare un pezzo che parlasse di una serata lì. Come ti ho già detto, le mie canzoni sono pezzi della mia vita.
Cosa consiglieresti a un ragazzo che voglia iniziare a fare rap? Chi dovrebbe ascoltare? Come potrebbe avvicinarsi a questo mondo? Come si fa a emergere, oggi?
Io consiglierei alle nuove leve di studiare prima il passato di questa musica. Ci sono molti libri che ne parlano. Poi di non pubblicare subito canzoni a caso nel web, ma ragionarci bene e uscire nel marasma di internet solo quando si ha qualcosa di forte e sopratutto comunicativo.
L’ultima cosa molto importante è essere se stessi e non copiare nessuno. Ci si può ispirare, ma nel rap l’originalità è tutto, e spesso viene premiata più dei testi in sé.
Vuoi aggiungere qualcosa?
Certo, vi ringrazio per lo spazio che mi avete dedicato, e invito tutti a passare sui miei canali per ascoltare i miei lavori e a comprare i miei brani sui digital store, anche perché le vendite contano sempre tanto, e i prezzi sono agibili a tutti. Rimanete collegati, che ci sono sempre novità. Non si smette mai.