APNEA INTO THE RADIO: "Siamo unʼentità molto cangiante" • MUSIC.IT
Il duo shoegaze Apnea Into The Radio.
Il duo shoegaze Apnea Into The Radio.

APNEA INTO THE RADIO: “Siamo unʼentità molto cangiante”

Alfonso e Giuseppe, ovvero Apnea Into The Radio, togliamo subito il respiro ai lettori. Spiegateci da cosa nasce questo legame che ha permesso la realizzazione del progetto.

G: Ci siamo conosciuti nel 2013 a Roma in una band elettrorock ed è nata sin da subito una forte ammirazione ed affinità musicale tra di noi, così forte che più ci conoscevamo e più realizzavamo di essere stati separati alla nascita! Così sono nati gli Apnea Into The Radio.

Il vostro è un genere che ha sfondato, anche se per poco, agli inizi degli anni ’90. Vi siete lasciati trascinare anche voi da quella breve, ma intensa onda emotiva? Volete suggerire qualche band?

A: Eravamo troppo piccoli da poter essere testimoni diretti dello shoegaze primi anni ’90, credo che una parte del nostro inconscio ci leghi inevitabilmente a quel filone ma possiamo raccontarne solo lʼeco nei nostri walkman: My Bloody Valentine, Slowdive, Sonic Youth, Lush, Ride, The Jesus and Mary Chain.
A ridosso del 2000, i nostri ascolti di formazione musicale erano svariati e spaziavano dal grunge, alla newwave, allʼindie, allʼelettronica, al noise. Non ci sentiamo quindi degli shoegazer nel senso puro del termine, credo sia soltanto la nostra attuale attitudine musicale ad evocare forti riferimenti a quegli anni.

Ammettetelo: anche voi vi “guardate le scarpe” quando vi esibite live? Volete spiegare questa curiosa e simpatica dicitura dello shoegaze ai nostri lettori?

A: La parola shoegaze sta, appunto, per “guardata di scarpe” e deriva dallʼatteggiamento che hanno spesso i musicisti di questo genere durante lʼesibizione live: il loro sguardo è quasi sempre rivolto a terra a fissare i pedali/scarpe, ergo lʼutilizzo di chitarre molto effettate, a volte distanti ed eteree, a volte violente e sperimentali.
Ammettiamo che molte nostre inclinazioni sono shoegaze: è difficile infatti farci una foto live in cui non abbiamo lo sguardo rivolto in basso, verso le nostre “scarpe” e molto spesso siamo chinati a smanettare con i pedali.
G: Non a caso nutro un grande affetto verso le mie Converse e la mia pedalboard. In generale il nostro sound è il risultato di una svariata combinazione di pedali, sopratutto per quanto riguarda il basso.

“Acrobati” è il singolo che avete rilasciato. Pensate sia quello che vi descrive maggiormente? Cosa si smuove in voi quando componete i vostri pezzi?

A: Siamo unʼentità molto cangiante e alla ricerca di se stessa, quindi il brano che ci rappresenta di più è sempre lʼultimo appena scritto.
“Acrobati” è un brano molto significativo per me, un brano che rappresenta concettualmente ciò che ero nel momento in cui lʼho composto, sopratutto la parte lirica di esso. Descrive un senso di sospensione ed incertezza sul futuro, quindi per sua natura credo sia il brano meno sicuro e stabile che si possa concepire.

Mentre ascoltavo il vostro live al Boiler Studio mi veniva naturale chiudere gli occhi e iniziare a spaziare con la mente. Avete una chiave di lettura da suggerire per godersi appieno i vostri brani, o sono stato bravo?

G: Sei stato bravissimo! Anche io a volte chiudo gli occhi quando suono e mi lascio trasportare dallʼemotività della musica.
A: È anche difficile, infatti, farci una foto con gli occhi aperti! Ogni brano ha una sua chiave di lettura per quanto concerne la comprensione del testo, e chiudere gli occhi è l’espressione fisica di questo processo. Quello che tento di ricreare con i testi, è uno stato di sintesi per far vagare la mente, non seguendo un filo logico narrativo, ma dipingendo delle immagini e dei colori in un collage di sensazioni che solo nel totale riesca a rivelarne il senso. Potrei essere più esplicito e manifestare maggiormente ogni singola chiave di lettura, ma preferisco che ogni ascoltatore si faccia i propri unici viaggi mentali, rendendo cosi il testo un poʼ più speciale di quello che è in realtà.
Il nostro intento è di far assomigliare i nostri brani alla sensazione che resta al risveglio di un sogno o da un incubo. Niente di originale, ma è la nostra direzione.
Per ora la classica composizione forma canzone mi annoia da morire.

Il live al Boiler è l’inizio di qualcosa? State lavorando ad un nuovo album?

G: Stiamo scrivendo musica, semplicemente, senza grosse pretese e per qualcosa che nascerà in autunno, forse un EP o forse un album; lo decideremo dopo aver terminato le composizioni.

Come vedete collocato il vostro genere ai giorni nostri? Chi pensate meriti di essere seguito?

G: Credo sia un genere molto attuale e in linea con i tempi. Alcune delle Band che più seguiamo oggi: M83, Radiohead, A Place To Bury, The Strangers, The Radio Dept., The Raveonettes, Wild Nothing, Trentemøller, Blonde RedheadThe Soft Moon, Deerhunter, Beach House, Arcade Fire.

A parer mio la vostra musica starebbe benissimo come colonna sonora per film e serie tv: donerebbe atmosfera e pathos alla scena. Avete mai pensato a gettarvi in quella direzione? Se sì, cosa scegliereste?

A: Sai che non sei il primo a farcelo notare? Purtroppo non abbiamo mai fantasticato in questa direzione, perché ci sembra un mondo lontanissimo, ma se un giorno ci venisse proposto di realizzare una colonna sonora saremmo senza dubbio felicissimi di farlo!

Apnea Into The Radio grazie per il vostro intervento. Se volete avete ancora qualche riga di spazio!

Grazie di cuore a te e Music.it per lo spazio che ci avete dedicato. Un saluto a tutti i lettori! Se in qualche modo vi abbiamo incuriosito, fate un salto sulla nostra pagina Facebook.