Ci sono titoli che non sono semplici didascalie, o citazioni, o slogan posticci lanciati per creare aspettativa. “Nudità” è una chiave di lettura che si infila precisa precisa nella toppa dell’opera a due di Virgilio Sieni e Mimmo Cuticchio. Anzi, correggiamoci: opera a tre. Per chi non lo conoscesse (conoscetelo!), Mimmo Cuticchio è il più apprezzato puparo palermitano, continuatore di una tradizione millenaria, nata in Sicilia in tempi di grecità. Lo avrete forse visto nella sua commovente interpretazione in “Terraferma”, film di Emaneule Crialese del 2011. Sulla scena, dunque, stanno i due e le bellissime marionette dell’Opera dei Pupi. La collaborazione fra il coreografo e il puparo palermitano inizia l’anno scorso e si sviluppa come piano triennale. Un’indagine sistematica che ha visto un episodio primo in “Atlante – L’umano del gesto”, seguito da “Nudità”, già in scena a Firenze e ora a Roma per il Romaeuropa Festival.
In “Nudità” il corpo di Virgilio Sieni dialoga con le possibilità inumane dei movimenti dei pupi.
Analizzare, illuminare, eseguire la reazione instaurata dal movimento dell’umano e della marionetta è l’obiettivo. L’indirizzo coreografico di Virgilio Sieni è da sempre teso all’analitica del gesto coreografico, scomposto e riassemblato alla ricerca di una dimensione altra del movimento. La marionetta, corpo di legno tutto risonante nelle sue cerniere e nei tratti rigidi, è dunque il perfetto specchio riflesso di simile ricerca. In “Nudità” il corpo di Virgilio Sieni dialoga con le possibilità inumane dei movimenti dei pupi. Ma la direzione di questa relazione è biunivoca. La marionetta reagisce a sua volta, per mano e volontà di Mimmo Cuticchio, alle sollecitazioni del danzatore. A ben vedere lo stesso Mimmo Cuticchio è un danzatore, ma sarebbe riduttivo vedere nella marionetta una protesi del suo corpo. Egli a sua volta segue e fa la volontà del pupo, ne è demiurgo e interprete al contempo.
Si potrebbe vedere la presenza dei tre corpi sulla scena come una metafora trinitaria. Un Padre, Mimmo Cuticchio, un Figlio, il pupo, e uno Spirito Santo, Virgilio Sieni, animati nell’unità della loro diversità. Il loro apparire è epifanico: in tal senso la luce e la scenografia giocano in pieno il ruolo, per dire, dello sfondo dorato delle icone. Il vuoto dato dall’assenza di arredo scenico è infatti solo illusorio. L’impianto luci è tarato per creare un delicato gradiente che accentua la profondità del campo, donando consistenza materiale ad ogni centimetro fra il pubblico e la quinta. Un vuoto palpabile abita la scena, che si fa spazio abitabile, di heideggeriana memoria. I corpi abitanti appaiono in scena dall’ombra, come dal nulla, e al nulla tornano, definendo una struttura per capitoli separati appunto da apparizioni e scomparse. Magistralmente, la colonna sonora ipnotica di Angelo Badalamenti sembra dare riflesso sonoro al dato visivo.
“Nudità” è abbandono ad un‘energia relazionale che salva se-stesso e l’Altro.
La struttura drammatica gioca, come la coreografia, con quel nulla. Ogni gesto è appeso al vuoto, tirato verso un alto che si pone misterioso, come lo è per il pupo la trazione operata dal puparo. Questa presenza del nulla accentua la smaterializzazione della gravità, concetto che evoca quello di risonanza, su cui sta lavorando Virgilio Sieni. “L’idea della risonanza in danza indica il non subire la gravità e quindi non entrare in una dimensione di depressione del corpo”. Depressione, vuoto, ombra: i soggetti della modernità come messa in discussione radicale dell’io. Quella di “Nudità” è dunque una lotta magica della vita per la vita. In tal senso si legge l’azione sul secondo pupo che appare in scena, armato di tutto punto come da tradizione pupara. Questo dapprima cinge la spada e minaccia il corpo di Virgilio Sieni, che gli si avvicina dall’ombra. Inizia una seduzione, la ricerca dell’anima nuda.
Chi è consueto all’Opera dei Pupi riconosce i movimenti della zuffa fra cavalieri, animata sul battere dai piedi del puparo. Stavolta la tenzone sfuma nel lirico disarmo operato sul cavaliere. Spada, scudo e armatura sono gettati a terra, rilucenti frammenti d’un io spogliato abbandonato all’Eros. “Nudità” è abbandono ad un‘energia relazionale che salva se-stesso e l’Altro. Infine appare un terzo pupo, un angelo che realizza nel volo quella costante tensione all’antigravità che muove la coreografia tutta. Di fronte alla sua totale leggerezza, il corpo di Virgilio Sieni si schiaccia al suolo per contrasto. Si fa piedistallo del corpicino corazzato dell’Angelo. Sul finale la musica s’interrompe ed erompe la voce di Mimmo Cuticchio, che cita il racconto di Astolfo dall'”Orlando Furioso”. La storia del viaggio di Astolfo sulla luna illumina quello dei corpi sulla scena: un pellegrinaggio verso l’abiura del peso, consegnatisi alla propria “Nudità”.