Ciao Riccardo Mazzon! Benvenuto sulle nostre pagine. Cancelliamo subito ogni tipo di formalismo e raccontaci un ricordo legato alla musica a cui tieni particolarmente.
Ciao ragazzi! Sicuramente il ricordo più bello legato alla musica è il motivo per cui ho iniziato a suonare. Guitar Hero! Avevo 14 anni quando è uscito sul mercato questo nuovo videogioco che aveva il controller a forma di chitarra. È stato impossibile per me resistere essendo già a quei tempi un amante della musica metal e rock! Ho passato un’estate intera davanti allo schermo a suonare tutte le canzoni a tutti i livelli di difficoltà. Sono rimasto veramente colpito dai video in cui mostravano i musicisti suonare le canzoni negli studi di registrazione. Quindi mi sono deciso a comprare la mia prima chitarra!
So che sei diplomato all’Accademia di Musica Moderna di Franco Rossi. Molti cantanti di oggi sono autodidatti: quanto è importante invece avere una formazione e non cedere semplicemente al flusso di coscienza?
Da insegnante di chitarra sostengo che avere una formazione musicale alle spalle è essenziale, ovviamente, se strutturata nel modo giusto. Prima di tutto dal punto di vista tecnico, soprattutto per quanto riguarda la voce perché è uno strumento molto complesso e delicato che va usato con cura e attenzione. Ma anche da un punto di vista umano. Avere un insegnante con esperienza può essere uno stimolo continuo e anche un supporto psicologico in determinati momenti.
Mi è sembrato di sentire nelle tue intonazioni qualcosa dell’ultimo Neffa. Mi sbaglio?
In realtà Neffa non rientra nei miei ascolti abituali. Però lo ascoltavo molto da ragazzino, quindi può essere che mi sia rimasta nell’inconscio qualche sua influenza. Mi ricordo di lui. Tanti tanti anni fa ero nel back stage del Festivalbar grazie alla zia di un mio amico che ci lavorava, avrò avuto 10 anni. Fra tutti, lui è stato uno dei più gentili, che si è fermato a fare foto ed autografi.
Come ti poni in quanto artista rispetto alla discografia italiana di oggi, praticamente monopolizzata dall’indie pop? Cosa vuoi dirci di nuovo con “Lo Spazio del Silenzio”?
In realtà mi sento fuori luogo con quest’album. Sto ascoltando attentamente le canzoni che hanno successo in questo periodo. Non ne capisco il significato. Sento molta superficialità, moda, voglia di creare contenuti accattivanti, ma poca sostanza. Sono uno di quei musicisti nostalgici. Amo suonare e la musica suonata, la lingua italiana e la ricercatezza nei testi. Infatti ne “Lo Spazio del Silenzio” che cerco di tornare alla semplicità. Tutti i suoni che si sentono sono strumenti veri, suonati da musicisti veri. Anche la voce è al naturale, senza ricorrere all’autotune in modo massiccio come va di moda oggi. Diverse persone lo hanno ascoltato dicendomi che suona “strano”. Credo sia proprio perché in studio abbiamo deciso di lavorare come si faceva una volta, suonando tutto e mantenendo anche la parte ”umana”, cioè piccoli errori e sbavature.
Cosa è per te lo spazio del silenzio?
“Lo Spazio del Silenzio” è quel posto in cui mi sono rifugiato per molto tempo, cercando di capire chi sono. Ci sto ancora lavorando.
Tra tutte le tracce, mi ha particolarmente colpita “Senza un manuale”. È veramente così che vivi la tua vita? Con la giusta dose di leggerezza?
Magari riuscissi a vivere la vita con leggerezza! Purtroppo no, è solo quando guardo il tramonto che riesco a sentirmi leggero. Non so come mai, ma fa parte di quelle cose che mi fanno sentire sereno. Mi rappresenta molto questo brano, il fatto di chiedermi cosa possa succedere ancora, nel bene o nel male, è una costante. Come anche il fatto di ringraziare tutte le mattine quello che è successo nella mia vita, che mi ha reso quello che sono oggi.
So che stai lavorando al tuo nuovo album. Vuoi condividere con noi qualcosa a riguardo?
Il nuovo album è in fase di scrittura. Sarà una cosa diversa come concetto rispetto a questo, ancora non mi esprimo però! Anche “Lo Spazio del Silenzio” era nato in un modo che in corso d’opera ha continuato ad evolvere e cambiare, fino a diventare una cosa diversa rispetto a quello che pensavo quando ho iniziato a lavorarci.
Cosa ti aspetti da “Lo Spazio del Tempo”? Magari un tour?
Ancora non so bene cosa aspettarmi da questo album. Ci ho messo dentro tutto quello che avevo: le mie emozioni, i miei studi, le mie esperienze, i miei sogni. E le mie finanze. Essere un musicista indipendente non è cosa facile. Sono da solo a far fronte a tutto quello che riguarda la promozione e l’organizzazione, oltre a reperire i fondi necessari, quindi mi trovo ad andare a rilento molto spesso. Ovviamente mi piacerebbe molto riuscire a fare un tour per portarlo dal vivo in situazioni in cui possa essere apprezzato.
Riccardo Mazzon, l’ultima domanda non sarà una domanda, ma uno spazio per te. Riempilo con quello che vuoi.
La vita è un gioco strano e complesso. Scendiamo sulla terra “senza manuale”. Non sappiamo come si gioca e non sappiamo chi vince o chi perde. Passiamo la vita a inseguire sogni coltivando ambizioni. Siamo confusi e spesso ci perdiamo. Io mi sono perso, ogni giorno e senza trovarmi. Mi guardo intorno e molte cose non sono chiare. Mi guardo dentro e non mi sono chiare molte più cose. Ognuno è il soldato che combatte la propria battaglia, ognuno nella propria trincea a cercare di arrivare dove vorremmo, cercando di restare scottati il meno possibile dalle situazioni e dalle persone. Dobbiamo tornare a guardarci dentro, a rispettarci così da poter rispettare chi ci sta intorno. Dobbiamo tornare a volerci bene invece che odiarci. L’amore c’è ma si nasconde. Sta a noi trovarlo. Il viaggio che stiamo facendo, ognuno per conto proprio, è un casino. Sta a noi decidere come affrontarlo!