PANTA:"Custodire la profondità contro il mare di superficialità che si percepisce"
I Panta in una foto promozionale.
I Panta in una foto promozionale.

PANTA: “Custodire la profondità contro il mare di superficialità che si percepisce”

Ciao ai Panta, ovvero Davide, Giordano e Giulio! Benvenuti su Music.it, dove è tradizione iniziare la chiacchierata con un episodio imbarazzante che vi ha accompagnati come band. Uno di quelli che vi farà sempre divertire al solo ripensarci, ce lo raccontate?

Davide: In un festival estivo all’aperto saliamo sul palco senza aver fatto il soundcheck. Stavo utilizzando un accordatore a pedale e non mi ero accorto di aver attivato un’impostazione che alterava la tonalità, per cui mi sono ritrovato con un’accordatura del basso completamente sballata rispetto agli altri strumenti ma non potevo ancora saperlo. Attacchiamo con “Amaledirechelami”, che ha un intro con il basso, e, appena entrano gli altri accade il delirio. Sembravamo un gruppo tra il free-jazz e il futurista. Lascio a voi immaginare le facce del pubblico – e della band…

Artisticamente i Panta nascono nel contesto romano ma crescono affacciati sul mondo, come vi ha influenzato questa appartenenza a livello sonoro?

Il nostro sound è proprio il risultato di un’apertura sia culturale che musicale, questo ci ha condotti al di là della nostra “comfort zone”. Abbiamo suonato all’interno della “scena romana” dove invece la finalità ci è sempre sembrata quella di ottenere un hype momentaneo che ha molto più a che fare con la moda che con la musica. Non è mai stata una questione di marketing per noi, quindi abbiamo provato a costruire dei ponti che ci portassero oltre quello che succedeva al locale cool del weekend capitolino.

E il ponte dove vi ha portato?

Questo ponte ci ha condotti in primis in Inghilterra dove siamo riusciti a cementare a tutti gli effetti la nostra seconda base, prima lavorando con Steve Lyon – un mito per noi, avendo registrato alcuni dei dischi con cui siamo cresciuti di The Cure e Depeche Mode – e poi, ancora ora, lavorando con Paolo Violi all’Abbey Road Institute, un sogno a occhi aperti che mai avremmo immaginato.

“Incubisogni” è il vostro primo lavoro uscito nel 2019, siete riusciti ad avere belle soddisfazioni portandolo in giro in palchi importanti come quello di Villa Ada, come è stata l’esperienza relativa a quest’album?

“Incubisogni” è stato la risposta a una domanda. Quando abbiamo iniziato con la band, a dire il vero nessuno dei nostri coetanei sembrava più interessato a un progetto rock che avesse la musica suonata dal vivo e la costruzione di una propria poetica come punto di riferimento. Portando la nostra musica on the road negli anni ovunque potessimo, siamo rimasti piacevolmente colpiti dal fatto che un riscontro umano ci fosse.

Di certo molto gratificante.

“Incubisogni” è stato quindi  il voler incidere su disco tutti i sentimenti contrastanti che ci hanno accompagnati, divisi idealmente tra sogni – la speranza e la volontà di portarla avanti – e incubi – gli ostacoli: le disillusioni, le delusioni, le difficoltà lungo il cammino. Da quando è uscito sono successe molte cose belle, una delle più belle l’hai ricordata tu, quella sul palco di Villa Ada insieme a Calexico e Iron&Wine, artisti che ammiriamo moltissimo; in particolare quando si sono complimentati con noi per il nostro set, è stato un momento di grande orgoglio e gioia per tutti noi.

È uscito il 3 aprile il singolo “Svegliati adesso”, definito un inno alla vita e alla resistenza. Cosa significa per voi resistenza?

Significa poter andare in direzione ostinata e contraria, ricordando Fabrizio De André, rispetto al pensiero dominante. Rimanere fedeli alla linea e a se stessi. Custodire il contenuto e la profondità che si sente di avere contro il mare di superficialità che spesso si percepisce attorno. In più ha per noi anche un significato militante perché abbiamo l’umile ma tenace pretesa di amplificare con la musica un messaggio di emancipazione, condivisione e solidarietà sociale.

Panta rei, racchiuso già nel vostro nome, trova nuova forma anche nel testo del brano: «Tutto scorre, io resto fermo e non ho tempo di decidere. Ti chiudi fuori e mi apri dentro, mi lasci spento, mi vuoi accendere?». A chi si rivolge?

Giulio: Ti stupirò, mi rivolgo a me stesso. O meglio, alla “vecchia versione” di me stesso, che era sicuramente più incline a quello che citando uno dei miei poeti preferiti direi dérèglement: ero molto più tendente al dissipare le energie e a ritrovarmi in una stasi che poi diventava disordine e pessimismo, anche nelle relazioni umane. Buona parte dei testi del lato “Incubi” viene da lì. Sentivo che c’era qualcosa di più ma non riuscivo a trovarlo, mi sono fatto coraggio e ho iniziato il mio percorso di ricerca. Con un’avventurosa storia che parte da Lucca, passa per Parigi e torna a Roma.

Cosa saremmo senza avventure, d’altronde.

Un altro episodio cardine è stato un colloquio personale con David Lynch che mi ha cambiato la vita, ho imparato la tecnica della Meditazione Trascendentale e così ho trovato la mia luce interiore e l’ho accesa una volta per tutte. Continuo a praticarla quotidianamente da 5 anni ormai e, per quanto posso dire, il viaggio dentro di sé è l’esperienza più incredibile che si possa compiere.

La scelta del lyric video di “SVegliati adesso” vuole risaltare un messaggio preciso per questo momento che stiamo vivendo? In che modo?

Sì, proprio così. Il testo del brano che è nato da un momento di risveglio profondo e di energie positive rinnovate che hanno dato inizio alla band. Infatti anche se è uscito soltanto ora è stato sempre un punto fermo del nostro repertorio live e anche la più cantata dal pubblico nei concerti, fin dall’inizio. Perciò in un momento difficile come questo, speravamo che un po’ di quella forza così grande che ha dato a noi potesse diffondersi e dare un messaggio di resilienza. La cosa più bella è che a un mese dalla sua uscita possiamo dirti che a quanto ci è parso questo messaggio è arrivato davvero e lo abbiamo capito dalle belle cose che ci hanno scritto gli ascoltatori. Non le dimenticheremo.

I Panta scrivono sempre sotto l’influsso della meditazione trascendentale? Che progetti avete per le prossime novità?

Giulio: Diciamo che essendo la meditazione trascendentale una parte così essenziale della mia vita, nei testi che scrivo alla fine posso sempre ritrovare qualche filo rosso che riconduce a sensazioni, immagini, sentimenti che ho approfondito dentro. Come dice Lynch, in parte già lo diceva anche Magritte, se ti tuffi dentro di te puoi arrivare a pescare le cose più profonde.

Dave/Giordano: Non potendo suonare live ci stiamo concentrando sul lavoro in studio che è per noi fondamentale tanto quanto suonare dal vivo. Abbiamo la fortuna di non stare mai fermi da un punto di vista creativo e di avere sempre materiale su cui sperimentare. Perciò a breve potrebbe uscire qualcosa di nuovo, stay tuned…

Lascio alla Panta band le conclusioni, l’ultima domanda è vostra… Alla prossima!

Una per ognuno:
Ogni sera, ancora, a maledire che l’ami o amale dire che l’ami?
Incubi o sogni?
Questa è una pipa?