THE YELLOW: "Cantare in inglese è un auspicio a non restare nei propri confini"
La band dei The Yellow.
La band dei The Yellow.

THE YELLOW: “Cantare in inglese è un auspicio a non restare nei propri confini”

Diamo il benvenuto ai The Yellow su Music.it! Ci piace iniziare le nostre interviste chiedendo un ricordo particolarmente significativo, e meglio se imbarazzante, legato alla musica. Il vostro qual è?

Forse il momento più imbarazzante è stato allo Sziget Festival. Abbiamo fatto partire una campagna chiamata Dressing Sziget, artefici i ragazzi di Zerottanta Produzioni, Ermes Di Salvia e Anna Giulia D’Onghia, nella quale abbiamo fatto un video dove eravamo completamente nudi. Molto figo, ma piuttosto imbarazzante. Per oltre un mese la nostra città era tappezzata di locandine di noi nudi!

I The Yellow nascono dall’incontro di diversi background musicali e diverse esperienze con altri artisti. Come è stato inserito tutto questo nel vostro progetto musicale? A cosa ha dato vita?

Le collaborazioni sono molto importanti, fondamentali, le riteniamo alla base di ogni progetto creativo, danno vita a cose che non ti saresti mai aspettato. Anche un semplice scambio di idee, una chiacchierata può aprirti una finestra su un mondo nuovo. Noi abbiamo usato tutto questo per far maturare il più possibile il nostro progetto. Sia le esperienze positive che quelle negative ci hanno aiutato a migliorare molti aspetti.

A questo proposito, quali sono stati gli artisti, italiani e internazionali, che vi hanno accompagnato lungo la vostra formazione?

È difficile per un musicista rispondere a domande come questa, sembrerà scontato ma la risposta più semplice è sempre quella vera: ascoltiamo quasi tutto. Dall’elettronica al pop, dal cantautorato italiano e straniero, al rock. Certo non tutto, nel senso che ogni momento della nostra vita è accompagnato da un genere musicale diverso o magari da uno stesso artista per un anno intero, o si va in fissa per gli anni ’60, perché no? Insomma siamo sempre accompagnati da una colonna sonora che spazia fra i vari generi musicali. C’è sempre da imparare, da attingere, da farsi ispirare da tutto e da tutti, anche dalle cose meno belle.

È da poco uscito il secondo album dei The Yellow. “Streets Of Tokyo” è un vero e proprio viaggio tra le tappe fondamentali della vita di ognuno di noi, profondamente radicato nella nostra civiltà moderna. C’è stato allora un qualche evento della nostra contemporaneità che vi ha spinto su questa via?

Sicuramente il tema principale dell’album è il cambiamento, e la maniera nel quale lo si affronta: le varie tappe che si susseguono una dietro l’altra sono il racconto di un percorso che abbiamo affrontato personalmente nel periodo che va dall’uscita del primo album a “Streets of Tokyo”. Un percorso di cambiamento, di crescita, di delusioni, di lotta. Percorsi che la maggior parte di noi affronta almeno una volta nella propria vita.

Scegliere il primo singolo non deve essere facile, perché deve stuzzicare la curiosità del pubblico e portarlo ad ascoltare il resto. E “Streets of Tokyo” è stato anticipato dal singolo “Until the day”. Cosa vi ha portato a sceglierlo e a preferirlo agli altri pezzi?

Niente di così complicato o trascendentale. Semplicemente abbiamo fatto quello che si fa con le serie televisive prima di essere approvate: abbiamo fatto ascoltare l’album a degli estranei (non solo italiani) e abbiamo avuto riscontri positivi con “Until The Day”.

Possiamo dire che “Until the day” è un pezzo decisamente ottimista. Racconta della speranza di imboccare la strada giusta nonostante le mille avversità di questa vita. Vi rappresenta al cento per cento, o nascondete anche del cinismo?

È uno fra i tanti brani che raccontano le varie fasi di quel percorso di cui abbiamo parlato prima e che abbiamo affrontato in prima persona. Sì ed effettivamente è la “fase ottimista” quella che ti fa lottare fino alla morte pur di vincere e sì, è sempre rappresentativa di quel periodo che abbiamo affrontato fra i due album.

Il vostro è un genere misto tra pop rock, influenze british e elettronica che è stato definito golden pop. Spiegateci meglio questa soluzione!

Esatto è stato definito golden pop in una recensione del 2013. Forse è la cosa più bella che ci sia mai capitata: non esiste come genere musicale il golden pop e essere definiti come la band che ha “inventato” il golden pop, dai a quanti gruppi capita una roba simile?! A dir la verità la spiegazione bisognerebbe chiederla a chi ha usato questo termine nella recensione!

Non dimentichiamo che “Streets Of Tokyo” è composto da pezzi cantati completamente in inglese. È stata una scelta artistica o un bisogno di evadere dai confini italiani?

Un po’ tutti e due: scelta artistica quasi esclusivamente legata agli arrangiamenti e al sound. Bisogno di evadere dai confini italiani si e no: non è una forma di diniego del panorama italiano ma un auspicio che questo panorama possa affacciarsi anche all’Europa e non rimanere chiuso nei propri confini.

Siamo quasi giunti alla fine della nostra intervista. È quindi d’obbligo chiedervi se c’è in progetto un tour per “Streets Of Tokyo”!

Assolutamente sì. A dir la verità siamo già in tour, speriamo di poterci vedere in giro nei vari festival.

Grazie The Yellow per essere stati con noi. Vi salutiamo lasciandovi quest’ultimo spazio totalmente libero e da riempire con quello che volete!

Sorridere sempre!