Diamo il benvenuto a Vincenzo Incenzo, è un piacere averti sulle nostre pagine e poter scambiare qualche parola. Iniziamo questa chiacchierata seguendo le nostre tradizioni. Quindi ti chiedo di raccontarmi un aneddoto simpatico o imbarazzante della tua carriera che ti è rimasto impresso, magari durante un live o un tour.
Ciao a voi e grazie. Sì, c’è un ricordo, il primo in assoluto. Io ho cominciato in un locale che fino a qualche anno fa era molto conosciuto a Roma, il Folkstudio, dove hanno cominciato un po’ tutti i grandi artisti, da Francesco De Gregori a Antonello Venditti, insomma tutta la scena romana. La domenica c’era questa kermesse che prevedeva l’esibizione di nuove proposte. I ragazzi che non avevano mai suonato andavano a suonare per la prima volta. Potevano fare 3 pezzi quando andava bene. Quando invece già il primo pezzo non era convincente il direttore del locale Giancarlo Cesaroni ti faceva fare il secondo pezzo e poi ti mandava via.
Benissimo, e a te cosa è successo? Devo immaginare il peggio?
Io sono arrivato fino al terzo pezzo e poi Cesaroni mi disse: “Guarda, torna lunedì che ti faccio fare una cosa”. Il giorno dopo tornai e quella sera si esibiva Francesco De Gregori. Io mi sono trovato da debuttante a fare due pezzi nel concerto di De Gregori al Folkstudio. Un debutto davvero inaspettato.
Un bellissimo battesimo del fuoco. Ormai invece sono anni che lavori e vivi di musica. Ricordi quale è stato inizialmente il tuo primo approccio con la musica o con la scrittura?
Guarda ho sempre questo ricordo molto chiaro, quasi un’illuminazione. Considera che io vengo da una famiglia di musicisti, ad esempio mio padre suonava nell’Orchestra di Santa Cecilia. Ho sempre fatto studi, anche se disordinatamente, di pianoforte e di chitarra. Però mi ricordo un giorno in cui avevo 14 anni, ero alle scuole superiori. Mi andai a comprare un quaderno di quelli con la copertina nera, classici. Mi scattò la scintilla di voler scrivere canzoni e mi dissi: “Ora mi compro un bel quaderno e lo uso solo per le canzoni”. E così è stato, è durato per parecchio tempo.
E lo conservi ancora?
Assolutamente sì, tra l’altro ci sono delle cose che incredibilmente mi danno ancora qualche spunto. In quella massa di informazioni che buttai lì in maniera un po’ ingenua c’è ancora oggi qualcosa. Mi resi conto che in qualche modo avevo dato il via a qualcosa, anche se poi non potevo immaginare come sarebbe andata. Lo ricordo perfettamente.
Ormai avevi gettato le basi per la tua carriera futura. E parlando proprio di canzoni e di scrittura, come nasce un brano di Vincenzo Incenzo?
Guarda, di solito la scintilla può arrivare dovunque e in qualunque momento. Ad esempio stanotte mi sono svegliato con una cosa in testa e l’ho filmata sul cellulare. Però poi il momento della verifica è sempre da solo. In una stanza ben precisa della casa dove inizio a buttare giù tutto. Molte volte si parte da un’idea di testo o uno spunto musicale, altre da entrambe insieme. Poi dipende se si parla della mia produzione come cantautore, che ha un percorso più libero, o di quella da autore che comunque comporta dei vincoli.
Ti sei mai sentito troppo vincolato magari a delle richieste?
No, sono stato fortunato perché sono stato lasciato sempre più o meno libero dagli interpreti. Ho sempre potuto scrivere in piena libertà.
E parlando proprio di autore e cantautore, due facce della stessa medaglia, dove pensi di trovarti più a tuo agio?
Sicuramente quando scrivi per te stesso (anche se io l’ho sempre un po’ fatto, quello che scrivo prima deve convincere me, altrimenti non saprei se è emotivamente interessante) è molto più a largo respiro. Riesco ad occuparmi anche della produzione, degli arrangiamenti, della regia dei video. In qualche modo ti accende più campanelli e ti coinvolge di più, è chiaro.
Da autore invece?
Mentre scrivi per altri ovviamente devi farti delle domande, comprendere quali argomenti puoi toccare e quali no, quali sono le emozioni dell’interprete e come le vuole esprimere. Sono comunque due momenti egualmente belli. Non credo che ci sia una cosa che prevarichi l’altra, o meglio, si aiutano e si danno ossigeno l’un l’altra. Ovviamente scrivere per me adesso mi da molti stimoli perché sono cose che non darei mai ad altri, testi molto personali.
Pensi quindi che il tuo percorso da cantautore stia influenzando il tuo metodo di scrittura come autore, o viceversa?
Penso di sì. Quando si fa questo tipo di lavoro è chiaro che ci si lascia influenzare e ci si auto influenza. Poi la pratica aiuta a consolidare stili e codici. Una cosa che avrei detto in un modo cinque anni fa, oggi la direi diversamente. Inoltre io sono molto attento alle nuove tendenze e i nuovi codici. Mi piace molto il rap, il gioco di parole, l’esplorazione di diverse forme di linguaggio. È una continua evoluzione.
Ottimo, arriviamo proprio così alla prossima domanda, ovvero il tuo rapporto con il pubblico più giovane. Quel pubblico che oggi ascolta musica in pillole o i nuovi generi come indie e trap che si stanno facendo strada.
Beh, a dispetto di altri colleghi che magari hanno lavorato anche negli anni ‘90 e ’00, io non sono uno di quelli che critica ciò che sta avvenendo. Sono più curioso che critico. Ricordo che quando io ascoltavo Francesco De Gregori mio padre mi diceva: “ma che ascolti uno che è stonato? Che parla invece di cantare?”. La storia si ripete, quindi bisogna essere più attenti e capire cosa succede.
E una critica invece alle nuove mode?
Mi dispiace quando con queste armi di comunicazione gli artisti limitino i loro contenuti. Vedi il rap che nasceva come movimento che sviscerava temi importanti, sociali e politici, mentre qui è rintanato in microcosmi molto più piccoli. Sono comunque molto curioso, anche per quel che riguarda la scena indie. Non sempre la approvo, ma approvo il movimento, che comunque è partito dal basso, dalla rete. Un movimento democratico nato con la spinta del web, anche se web e visualizzazioni oggi sono un argomento da trattare con cura.
Stai adottando questi nuovi codici per la tua produzione?
Sì, anche in questo nuovo disco che sto facendo c’è un occhio di riguardo verso la musica elettronica e contemporanea piuttosto che il rap e le tendenze indie, miscelate a una canzone d’autore che è già consolidata. In definitiva quindi sì, mi piacciono molto le novità e bisogna approcciarle sempre con rispetto.
È bello sentire queste parole da chi ha vissuto la musica in tutti questi anni, piuttosto che frasi come “la musica è morta”.
Ma certo, è normale. Cambiano i codici e i canali di comunicazione. Sarebbe impensabile vedere ragazzi di oggi catapultati nella musica di 20 o 30 anni fa. Anche a me istintivamente viene da ascoltare la musica in maniera più “instant” per così dire, grazie ai nuovi metodi di ascolto. Prima magari uno si prendeva un pomeriggio intero per ascoltare un album. Oggi l’ascolto è più frenetico, un’esperienza individuale. Mi viene in mente una metafora di Niccolò Fabi nel suo ultimo progetto: “Fare attenzione al nuovo e conservare la memoria”. Questo è l’equilibrio perfetto per navigare in maniera sicura.
E arrivando proprio a qualche nome con il quale hai collaborato, ti chiedo: cosa si prova a vedere un proprio testo interpretato da grandi autori come Renato Zero, anche in contesti prestigiosi?
È sempre stata una sensazione molto gratificante. Ho avuto la fortuna di avere sempre interpreti importanti. Grandi artisti che hanno nobilitato i miei testi o le mie musiche. Devo dire che però per me l’esperienza emotivamente più forte è il momento di scrittura del testo. Quando ti rendi conto che stai facendo qualcosa che riuscirà a toccare il pubblico, è il momento migliore. Una volta che poi la canzone è pubblicata io devo dire che un po’ la dimentico perché la mia mente è già proiettata su altre cose. Il mio godimento sta proprio nell’officina.
Insomma, finisce nel momento in cui la consegni.
Si, quello è un bellissimo momento. Quello è il successo! Da lì in poi non sono io che devo dire a Renato Zero o chi per lui, come cantarla o interpretarla. Da quel momento in poi la canzone prende una sua strada e va con le sue gambe. È bellissimo vederla cantare ma ancor più bello vederla nascere.
E di tantissime canzoni che hai scritto, ce n’è una che ti porti nel cuore?
Ce ne sono tante, se ti dovessi dire una canzone in questo momento, ti direi che quelle che ho fatto da cantautore sono quelle a cui sono più legato. Sono nate senza cercare alcun artificio ma di getto, nel momento in cui magari ero più esposto o vulnerabile. Se devo guardare invece la produzione d’autore ci sono sicuro un paio di brani che ho nel cuore. Uno su tutti è “L’elefante e la farfalla”. Una canzone nata in pochi minuti, segnale che hai intercettato la sensibilità delle persone.
Invece una che non ami particolarmente? Che guardi un po’ con lo sguardo torvo?
Questo non lo so. Fortunatamente avendo pubblicato canzoni valutate sempre anche dall’interprete, difficilmente poi si rivelano brani che non colpiscono o che non mi piacciono. Sicuramente quelle di 20 anni fa avevano addosso molta più inesperienza e ingenuità rispetto ad ora. Diciamo che oggi mi fanno un po’ sorridere ecco.
Beh eri giovane e inesperto, dovevi farti ancora le ossa per così dire.
Sì, io venivo dall’esperienza del Folkstudio e da un’esperienza da cantautore, che non si preoccupa delle metriche o di essere per così dire commerciale. Poi sono passato a scrivere brani per il Festival di Sanremo e questa operazione è stata un po’ traumatica. Ho dovuto semplificare il linguaggio e cercare argomenti più seduttivi per il pubblico, sempre rimanendo comunque fedele alla mia linea e a quello che volevo dire. Qualche ingenuità in questa sferzata c’è stata. Poi mi sono resettato bene, in un codice più pop dove ho trovato una chiave specialmente negli anni con Michele Zarrillo, ad esempio con “5 giorni”.
In ultima battuta parliamo un po’ del tuo futuro, C’è qualcosa che ci puoi anticipare?
Ma certo, sto preparando un secondo album. Molto interessante come progetto. L’esperienza del tour in America Latina questa estate mi ha portato a conoscere grandi artisti. Questo disco uscirà in italiano e spagnolo e si avvale di collaborazioni e contaminazioni oltre oceano. Un bellissimo progetto. A febbraio ripartirò per un primo piccolo tour promozionale in Colombia e poi all’inizio della primavera uscirà questo disco anche in Italia. Inoltre in questi giorni torna nei teatri il mio musical “Rosso Napoletano” con Serena Autieri. Un musical a cui tengo molto su un tema importante come le Quattro giornate di Napoli. Continuo a muovermi quindi anche come autore. Ci sono in mente anche delle cose con Ron. Insomma, lavoro come sempre su più tavoli ma il progetto fondamentale è il mio disco.
Ok, andrei avanti tutto il giorno ma purtroppo dobbiamo chiudere questa intervista. Ti chiedo di dare un consiglio a tutti i lettori che hanno intenzione di fare musica o spettacolo, per chiudere questa intervista.
Io dico sempre che secondo me la cosa più importante è scrivere e tentare di scrivere il giornale di domani, non quello di oggi. Ogni artista dovrebbe coltivare la sua differenza e cercare di essere unico, nel bene o nel male. Puoi essere ingenuo, puoi essere poco maturo, ma cerca sempre di portare il nuovo e portare te stesso. Che sia un accordo o una parola nuova, cercate di spostare l’asticella. La differenza fa sempre fare uno scatto in più o quantomeno far alzare le antenne a chi ti ascolta. Inizialmente fu proprio questa la mia fortuna. Siate nuovi e siate diversi! Magari i risultati non saranno immediati e sarà faticoso, ma sarà bellissimo.
C’è qualcosa che vorresti aggiungere a quello che ci siamo già detti o meglio, qualcosa di non detto?
Mi piacerebbe che la canzone tornasse ad essere in qualche modo una testimone del nostro tempo. Si è un po’ perso di vista il ruolo della canzone come mezzo di comunicazione e divulgazione di quello che succede intorno a noi e non solo dentro di noi. Vorrei vedere nuovi artisti che tengano presente che la canzone è uno strumento straordinario per testimoniare le nostre battaglie sociali e umane. La canzone arriva prima di tanti comunicati e sentenze, perché ha un gran potere di sintesi, è trasversale, non conosce barriere ne limiti anagrafici!