Appena cinque anni fa “Saving Mr. Banks” ci raccontò la genesi dell’adattamento cinematografico di “Mary Poppins”. Walt Disney desiderava ardentemente trasporre le avventure della magica tata sul grande schermo e, infine, riuscì a persuadere la scrittrice Pamela Lyndon Travers a concedergli il suo best seller. Tutto il film si configura come una sorta di ossequioso dietro le quinte, una celebrazione che esplora le origini del mito. Perché è di mito che si parla. Mary Poppins è un personaggio marchiato a fuoco nell’immaginario collettivo occidentale, grazie soprattutto all’omonimo film del 1964 e ai suoi indimenticabili protagonisti. Tuttavia la storia non si è ancora esaurita, e la tata è planata al cinema questo Natale con “Il Ritorno di Mary Poppins”. Un titolo che sembra quasi una minaccia, considerando la poca affidabilità di questo genere di operazioni commerciali.
Al cinema trovano spazio sempre più sequel, prequel e reboot. Non è una sorpresa. Ma, in questo scenario, il rischio aumenta sensibilmente nel momento in cui vengono scomodate opere ibernate da diversi decenni. Negli ultimi tempi solo “Blade Runner 2049” di Denis Villeneuve è riuscito a prendere una strada autonoma, evitando di finire modellato dalla grandezza dell’originale. “Il Ritorno di Mary Poppins” esce nelle sale cinematografiche più di cinquant’anni dopo le prime avventure, ma non riesce a fornire una rielaborazione convincente e innovativa del mito. Eppure la produzione prometteva bene. A partire dalla direzione affidata a Rob Marshall, che in più occasioni si è dimostrato abile nel mettere in scena narrazioni di alto livello. “Chicago” (2002), eletto Miglior Film agli Oscar, è stato un trionfo musicale e coreografico. Purtroppo il regista non si è ripetuto, e la sua versione di “Mary Poppins” risulta affaticata anche dal punto di vista tecnico.
La nuova versione di “Mary Poppins” di Rob Marshall risulta affaticata anche dal punto di vista tecnico.
La vicenda è sempre ambientata a Londra, al numero 17 di Viale dei Ciliegi. Sono trascorsi vent’anni dalla prima visita di Mary Poppins e i piccoli Banks sono ormai adulti. Michael ha tre figli e, come il padre, lavora temporaneamente in banca. Il denaro tuttavia scarseggia e la storica casa di famiglia sta per essere pignorata dal direttore Wilkins, interpretato da Colin Firth. Il film ha quindi un’impostazione narrativa molto chiara. I Banks sono di nuovo sull’orlo del tracollo e Mary Poppins torna a sistemare la situazione trasportata dal Vento dell’Est. A scendere ondeggiante dal cielo, però, non è la stessa donna di un tempo. L’attrice Julie Andrews passa il testimone a Emily Blunt, e anche la celebre tata cambia inevitabilmente connotati. La nuova Mary Poppins appare stranamente meno affettuosa e, più in generale, tutte quelle stranezze tipiche del personaggio si trasformano in difetti.
Mary Poppins è una creatura insolita, una governante dotata di inspiegabili poteri magici. Il nuovo sequel non fa altro che ridimensionare il suo mistero. Una volta esposta la situazione iniziale, il musical alterna una serie di avventure fantastiche in cui sono coinvolti i tre bambini, da un viaggio subacqueo a una corsa all’interno di un vaso di porcellana. Alcune di esse, tra tutte la sequenza canora dei lampionai, permettono di intravedere la creatività registica di Rob Marshall. Ma sporadiche sequenze ben riuscite non permettono al film di liberarsi dalla sua sostanziale macchinosa prevedibilità. Così anche l’efficace andamento moraleggiate caratteristico dell’originale comincia a stridere, e la tata appare semplicemente una strana donna che spara sentenze al caramello. Il film è costato circa 130 milioni di dollari ed esibisce certamente alcune qualità, principalmente visive. Peccato che Mary Poppins non aveva bisogno di alcun ritorno, o perlomeno, non un ritorno di questo genere.