Dalla fredde albe dell’est Europa, quelle che sorgono sulla tundra, gli Iamthemorning danno alla luce il loro terzo capolavoro. Eredi dello strutturalismo, ogni singola traccia di “The Bell” è costruita sul modello delle canzoni del XIX° Secolo, canonizzato da Schubert. Impregnati di cultura mittlereuropea, sia essa letteraria o visiva, in musica si comportano come miniaturisti, ma su minutaggi estesi. Gleb Kolyadin e Marjana Semkina stanno per un’orchestra intera, coadiuvati perlopiù da stratificazioni sonore elaborate al sintetizzatore studiate appositamente per “The Bell”.
La voce di Marjana Semkina è angelica e argentina, sembra non graffiarsi mai. È cristallo trasparente attraverso cui gustare fino in fondo l’importante apparato compositivo del pianista e dei tappeti sonori che si intrecciano con le sue linee melodiche. il tempo è una cosa che va dimenticata durante l’ascolto di “The Bell”. soprattutto perché la base musicale ha tutti gli accenti spostati rispetto alla voce. È così che gli Iamthemorning creano il pieno: da una dimensione amateriale come il tempo.
In “The Bell” la composizione degli Iamthemorning è sineddoche della campana che batte gli ultimi rintocchi della vita
“Freak Show” è la traccia musicalmente più variegata. A partire dalla complessità sonora, ogni relazione tra alti e gravi, lenti e veloci, è filtrata dallo strano gioco delle parti e dei travestimenti. Non a caso il primo capitolo è chiuso da una chitarra piuttosto spagnoleggiante. “Sleeping Beauty”, invece, ha un incipit folk e vagamente grezzo che finisce in fiaba. Ma come ogni favola nordica, il finale non è gradevole. È infatti la storia di un omicidio, in cui la bellezza dell’assassinato è eternata dal fuoco. In “Blue Sea”, invece, l’elemento naturale che porta via la vita è l’acqua.
Con “Black and Blue” gli Iamthemorning diventano minimalisti ed ermetici, sviluppando in pennellate rapide la romantica decadenza della morte. In “Six Feet” il dialogo raccontato dalla stessa voce si articola in un’esercitazione di arpeggi dissonanti, alternato con variazioni. Quando la dialettica è quasi finita gli spleen aumentano per poi riadagiarsi su un tappeto di serenità, che è sempre indice di morte. Dopo la tempesta, la pioggia continua a picchettare sulle pozzanghere.
Ed è l’incipit di “Ghost of a Story”, inizio della seconda parte del ciclo schubertiano. I prodromi erano già stati gettati dagli eleganti arpeggi di “Six Feet”. Cambia il tipo di narrazione, insieme all’abito musicale. Da una descrizione di qualcosa come oggetto si passa alla narrazione esistenziale di qualcosa come oggetto per qualcuno. In “Song of Psyche” sono le corde pizzicate a farsi avanti, mentre il pianoforte resta sullo sfondo fin quando non le promesse sotto forma di minaccia.
Impregnati di cultura letteraria e visiva mittlereuropea, gli Iamthemorning si comportano come miniaturisti su minutaggi anche piuttosto estesi
E poi una pioggia di quartine alte che si incrociano con le terzine dei bassi per “Lilies”, in cui la coscienza si scioglie in una cascata di arpeggi ordinati, per risolversi in un infinito epico, in cui le coordinate del soggetto si ristabiliscono. “Salute” è una ballata che ricama un poetico addio sulla struttura classica della sonata, finché non sfuma in un intermezzo blues causato del basso, per poi confluire di nuovo nel folk grazie a percussioni e chitarra.
La chiusa metal di “Salute” sfocia nella titletrack “The Bell”. Qui gli Iamthemorning forniscono all’ascoltatore la chiave di tutto l’album. Il concept è la paura della morte narrata attraverso vaghi e leggeri riferimenti ai thriller di Edgar Allan Poe, in cui la musica è sineddoche della campana che batte gli ultimi rintocchi. “The Bell” degli Iamthemorning più che una necessità espressiva sembra portare con sé la devozione di due artisti per il fascino emanato dall’Inghilterra vittoriana. Un amore che traspare dalla cura che Gleb Kolyadin e Marjana Semkina infondono in ogni nota, in ogni parola.