Il lettore perdonerà l’avanzare di questo mio articolo per citazioni – sì, mi fermo – è solo che: come meglio raccontare la sensazione di alienante vivacità, di letterale rimbalzo sensoriale che “Archipel{o}gos”, con la sua complessità sonora, intrisa d’ancestrale futurismo, ha procurato ai miei sensi?
Con “Archipel{o}gos”, i Mata portano a galla i disturbi che logorano i taciti nervi, il palpitare dell’ansia, in un flusso dimensionale ipnotico e stringente
Il terzetto marchigiano – che col suo nome Mata traduce in dialetto la parola “fango”– ha condotto una ricerca sonora che sembri tracciare i confini al silenzio. Quello atavico e che certamente ci attende alla fine. È un disco freddo, “Archipel{o}gos”. Di un freddo irreale, ai limiti del chimico. Le distorsioni sfibranti, i martellanti ritmi sulla grancassa tribale, le contaminazioni sintetiche arrivano all’orecchio come pungenti sfide alla comunicabilità.
È come se l’incessante movimento del ritmo – puntuale, calibrato, a galoppo – attraversasse, crudele, gli scarti dell’intraducibile. Per capirsi, i rumori industriali parlano l’idioma del rock noise, che poi rimanda echi IDM e che ritornano secchi, storditi e alienati. La dissonanza, però, alberga nel solo fluire della coesa partitura strumentale: Alessandro Bracalente, Emanuele Sagripanti e Mauro Mezzabotta sono musicisti che impeccabili, riescono a pieno nel loro progetto di decostruzione cognitiva e sonora.
“Archipel{o}gos” dei Mata è un disco a terapia d’urto
Perché di questo si tratta: un viaggio nelle remote incongruenze che quotidianamente si è indotti ad ignorare. Con “Archipel{o}gos”, i Mata portano a galla i disturbi che logorano i taciti nervi, il palpitare dell’ansia – cara prudenza, tutta contemporanea – in un flusso dimensionale ipnotico e stringente.
Uscito oggi 4 Ottobre per l’indipendente Only Fucking Noise, “Archipel{o}gos” è un disco a terapia d’urto. Che no, non racconta dell’amore iniziato a Creta e finito in Texas, ma che permette la contemplazione dei suoi lapidari detriti. Sempre gli stessi, uguali e diversi. Sparsi e lanciati per tutte le isole che non si può fingere di non rappresentare. Per dirla con Beckett: cara incomprensione, sarà a grazie a te che potrò essere me stesso. Ecco, i Mata, forse, non hanno detto che questo.