Giovane band di Milano, i Distorted Visions hanno in breve tempo raccolto un discreto seguito e stanno esordendo con il loro primo album studio, “Born Dead”. Si tratta di un lavoro affatto nuovo nelle premesse, per quanto eseguito con competenza. L’inspirazione di KoRn e Sepultura è evidente e consapevole, modulata però da una sfumatura metalcore che si inserisce nei ritornelli, addolcendoli. Il basso cupo e martellante e il growl potente di Marco Cicala fanno il resto, trascinando l’ascoltatore in un abisso di ira (nei riff) e depressione (nei ritornelli) che si alternano secondo i classici stilemi del genere. A tal proposito, le tematiche trattate sono quanto di più lineare ci si possa aspettare in questo tipo di produzione. Morte, paranoia, suicidio e budella assortite, lo dico per rassicurare i black metallari benpensanti, non mancano, state sereni.
“Born Dead” unisce metalcore e nu metal nell’album d’esordio dei Distorted Visions
Dopo il rapido inizio di “Introspection”, “Born Dead” apre le danze con “Everytime i Die”. Questa è una bomba sonora caratterizzata da un riff thrash metal e un ritornello alla Bullet for My Valentine. “Paranoia”, invece, è una traccia più organica e robusta, che incede più pesante, a sciabolate di basso, senza fare concessioni alla melodia. Più veloce, ma non meno pesante è invece “Undefined Pain”. Nel riff di questo brano riff mi è sembrato di ascoltare un tributo a una certa “Master of Puppets”, ma potrebbe essere una mia impressione. “Gore” ritorna ad essere un pezzo perfettamente a metà tra metalcore e nu metal. “Burn” e “Seventeen” proseguono picchiando duro e rallentando progressivamente il ritmo, quasi a concentrare la violenza in dosi sempre più dilatate.
Riff pesanti si alternano a ritornelli più malinconici in un album compatto e robusto
Il breve e inaspettato intermezzo elettronico “99.9%” ci proietta in modo estraniante su “Disintegration”, squadrato death metal che riprende le suggestioni dell’intro solo brevemente, a metà canzone. Forse lasciar giocare i generi un po’ di più sarebbe risultato in una traccia più innovativa, sebbene non si tratti di un brutto brano. “Harakiri”e “Scars” confermano la formula di commistione già sperimentata in precedenza, mentre la traccia finale, “Priority”, chiude l’album sotto il segno di un’atmosfera cupa e malevola, che il metalcore non riesce del tutto a lavare via. In conclusione si può parlare di “Born Dead” come di un lavoro riuscito, che seppur paghi lo scotto dell’inesperienza, dimostra competenza e passione. Lo consiglio ai fan dei generi succitati, ai metallari innamorati degli anni ’90, e a chi ama gli esordienti preparati.