COLLISIONS: "Siamo un'utopia cibernetica, tra gestualità primordiale e tecnologia"
I Collision, in una foto di Mauro Boni
I Collision, in una foto di Mauro Boni

COLLISIONS: “Siamo un’utopia cibernetica, tra gestualità primordiale e tecnologia”

Benvenuti Collisions su Music.it! Non essendo convenzionali voi, non vogliamo esserlo noi, quindi cominciamo questa intervista chiedendovi un aneddoto che ricordate con piacere.

Ciao e grazie a voi per l’invito. Un episodio che ricordiamo con molto piacere è l’incontro con Osvaldo Desideri, scenografo premio Oscar per “L’Ultimo Imperatore” di Bertolucci. Eravamo stati invitati al Festival multidisciplinare “Leonardo on scene” in Umbria e alla fine del nostro concerto si avvicina quest’uomo alto e magro, dai modi gentili. Ci fa delle domande complimentandosi molto con noi e dopo un breve scambio l’incontro si è chiuso lì. A cena eravamo allo stesso tavolo, ci siamo ritrovati a parlare e ci ha detto chi fosse. A quel punto le parti si sono invertite e siamo stati noi che abbiamo cominciato a fare domande; siamo entrati così nella sua storia e abbiamo scoperto che era stato lo scenografo di molti altri film. È stata un bella sorpresa ed un vero piacere che è proseguito l’indomani quando abbiamo trascorso la giornata insieme nel piccolo borgo di Narni.

Ci affascina molto l’utilizzo di questa tecnologia interattiva per suonare senza il contatto fisico con lo strumento. Ci parlate dell’Handel?

Da lungo tempo Leonello, durante la sua attività di ricerca sulla computer music presso il Consiglio Nazionale delle Ricerche di Pisa, era affascinato dall’idea di poter suonare a mani nude. Così a partire dal 1998 ha cominciato a lavorarci fino a realizzare, con un team di collaboratori, due sistemi di riconoscimento gestuale. L’Handel (che chiamiamo anche “ScreenDriver”) è basato sulla elaborazione in tempo reale del movimento delle mani riprese dalla webcam del computer. Un video proiettore crea uno scenario di fondo nel quale ci sono zone attive dove il performer posiziona e muove entrambe le mani. Digitalizzate dal software, vengono isolate dal resto del corpo per estrarre informazioni relative a forma e posizione. In questo contesto è possibile dividere l’area attiva, per fare un esempio, in macro tasti ciascuno corrispondente ad una nota o un accordo. Oppure muoversi da destra a sinistra all’interno di una qualsiasi scala musicale.

E poi c’è il Palm Drive, come funziona?

Il Palm Driver è un dispositivo elettronico basato sui raggi infrarossi che rilevano informazioni relative alla loro altezza e rotazione rispetto al dispositivo stesso. Ad alcuni fa pensare al Theremin perché in effetti c’è una somiglianza nella forma e nella gestualità, ma in realtà sono due cose completamente differenti. Il Palm Driver è un controller e non uno strumento: perciò i parametri rilevati (altezze e rotazioni delle mani) vengono utilizzati per controllare il software di sintesi con grande libertà e creatività. Ad esempio possiamo far sì che ad un determinato gesto entri in azione un delay o un arpeggiatore. Sono dei sistemi che non si trovano in commercio e di cui abbiamo la piena esclusiva, il che rende il nostro live unico.

Tecnologia interattiva e batteria fisica, che concorrono alla realizzazione di un sound molto particolare. È stato difficile fondere questi due modi di suonare così lontani tra loro?

È stato laborioso ma anche suggestivo e stimolante e crediamo che sia stato la nostra forza. Abbiamo sempre definito Collisions come “un’utopia cibernetica” che mette insieme il suono acustico e la gestualità primordiale del “tamburo” ed il suono elettronico e la gestualità a mani nude dei live electronics dotati della tecnologia informatica più avanzata. Due mondi e due sonorità che si fondono nella “collisione” delle loro nature così diverse come diversi sono i nostri background musicali.

Ascoltando i vostri brani facciamo nostre le ambientazioni sonore che vengono a crearsi. A volte a ritmo di jazz, altre più verso un post-rock d’autore. Come etichettereste lo stile dei Collisions, dovendone scegliere uno solo?

Non ci siamo mai posti la questione; le parole sono spesso insufficienti e anche mistificatrici. E’ facile imbellettarsi di etichette e creare buchi neri di cui per altro il linguaggio è già di per se farcito. Sono le sensazioni e l’armonia sonora che contano e non mai il contenuto del racconto, diversamente si cade nei luoghi comuni che non abbiamo mai considerato nel nostro processo creativo. Abbiamo provato (e continuiamo a farlo) a tracciare un nostro percorso personale che porta con sé tutto quello che ha attraversato ciascuno di noi rielaborandolo con la nostra voce. Nel fare questo ci siamo concessi tutte le libertà che volevamo, il diabolico contro il simbolico.

Il vostro progetto musicale nasce una decina di anni fa, immaginiamo che in questo periodo lo sviluppo di questa tecnologia interattiva sia progredito di pari passo con la composizione dei brani. Avete qualcosa già pronto per un eventuale album?

Sì, in effetti abbiamo lavorato sulla tecnologia per rendere tutto il sistema stabile e più flessibile rispetto ai primi prototipi. Questo ci ha permesso di articolare maggiormente la composizione dei brani e di allargare la gamma sonora. Possiamo utilizzare tanto la sintesi interna quanto sintetizzatori esterni. Resta comunque il fatto che il lavoro di programmazione per l’esecuzione dei brani è molto lungo e quindi per giungere alla realizzazione di un album intero dei Collisions può volerci molto tempo. C’è del materiale già pronto ma non sufficiente da farne un album per ora, è più probabile che pubblicheremo invece dei singoli brani oltre al materiale già pubblicato fin qui.

Nel 2014 vi siete cimentati nella realizzazione del cortometraggio musicale “Masses and Sea Motions”, che ha ricevuto un gran consenso di pubblico e critica. È un’idea replicabile in futuro?

All’epoca ci fu la concomitanza, oltre alla disponibilità della location che è di una bellezza straordinaria, di varie situazioni favorevoli e necessarie alla realizzazione di una cosa così ambiziosa e delicata in quanto girata, suonata e registrata tutta dal vivo, senza alcun artifizio. Ci sono voluti cinque mesi di preparazione per realizzare undici minuti di video e musica. Nel mondo chi l’ha fatto ha avuto ben altri mezzi a disposizione, come per il “Live At Pompei” dei Pink Floyd. Siamo molto soddisfatti di aver lasciato una traccia con quel video e di essere riusciti a farlo nel modo in cui lo avevamo in testa. Fondamentale è stato il contributo di tutte le persone che ci hanno lavorato e in particolar modo del regista Davide Abate (già direttore della fotografia del video “La Cena” dei Massimo Volume). Non escludiamo comunque altre esperienze simili in futuro, magari in un ambiente più controllabile!

Siete molto attivi nel partecipare a festival ed eventi live, sia in Italia che all’estero. Pensate che la vostra musica, con il vostro particolare modo di eseguirla, trovi la sua dimensione ideale suonata dal vivo?

L’impatto fisico e visivo del live è la dimensione ideale per la musica. Assistere ad un concerto è sicuramente l’esperienza di ascolto più bella ed intensa. Nei dischi ci sono molti trucchi, molta mediazione, mentre dal vivo c’è tutto, c’è la verità e l’essenza di quello che un musicista vive sulla sua pelle, tutti i giorni. Ogni live ci richiede sempre molta preparazione e diamo tutto per noi stessi e per chi assiste, perché il nostro è un “mestiere” instabile e poco redditizio e non può essere altrimenti. Non è verosimile timbrare il cartellino e poi come se niente fosse entrare nell’autismo musicale o in quello di qualsiasi forma creativa per dare sfogo a quella necessità interiore. Ti porta per forza a stare lontano dalle bassezze e dalla praticità della borghesia. Le due cose non possono convivere a meno che non si è Charles Ives o Franz Kafka.

Nei vostri live vi avvalete dei visuals dell’artist designer berlinese Moodif, che si fondono con la tecnologia interattiva. Che svolta ha ricevuto, grazie a questa collaborazione, il progetto Collisions?

C’è stato un netto miglioramento della parte video perché sebbene i visuals di Moodif non abbiano effetti interattivi sulla tecnologia dei Collisions, essi sono in armonia con l’esecuzione e le sensazioni di ciascun brano. Hanno aggiunto molto all’aspetto visivo: Leonello vi suona di fatto immerso dentro. Sentivamo l’esigenza di dare un ruolo più partecipe ai visuals e in questo siamo stati seguiti con grande passione dalla nostra curatrice Francesca Holsenn la quale ha fatto poi nascere la collaborazione con Fara Peluso aka Moodif. Il primo live dei Collisions che abbiamo fatto con questa nuova veste è stato il Robot a Bologna nel 2014 e lì abbiamo capito che funzionava perfettamente.

Le nostre domande sono terminate, aspettando la vostra esibizione al Summer Session Festival di Rovereto, il 20 Luglio, vi salutiamo e ringraziamo per averci concesso un po’ del vostro tempo. Lascio a voi lo spazio per aggiungere ciò che volete.

Grazie a voi per averci dato modo di raccontarvi un po’ quello che sono stati questi dieci anni, circa, di attività del progetto. Siamo molto grati alle persone che in tutti questi anni ci hanno seguito, che sono rimaste lì anche dopo i concerti. A parlarci delle loro sensazioni ed a chiederci del nostro lavoro dimostrandoci grande affetto e stima per quello che facciamo. Questo ci ha fatto capire che pur non usando parole e non avendo riferimenti al serbatoio conoscitivo più canonico. Siamo stati in grado di lasciare qualcosa di profondo ed intenso a coloro che hanno avuto modo di conoscere il nostro lavoro.