Si chiama Marcello Maietta il fondatore della band Brando. Classe 1988 questo ragazzo affonda le sue origini nel cinema e nel teatro, suo obbiettivo primario. Nel 2010 scatta qualcosa, e nasce un progetto da cantautore che lo porterà ad incontrarsi nel 2017 con il tastierista Francesco Casadei Lelli. Oggi, a circa due anni di distanza da quell’incontro, il progetto Brando prende vita con il primo album, dal titolo “Le nostre verità”. Un album che si muove bene all’interno del rock italiano, ma che non si preclude di avvicinarsi ad altri generi e melodie, dalle più morbide alle più ruvide.
L’ascolto del lavoro non è particolarmente impegnativo, anzi, il contrario. I Brando sono in grado di affrontare temi esistenziali con semplicità, tanto nei suoni quanto nei testi, lasciando digeribile per tutti gli orecchi il messaggio velato dietro le canzoni. In apertura con “Intromissione” ci danno già un’idea piuttosto chiara dell’impronta dell’intero lavoro. La batteria piena e corposa, accompagnata dagli archi e dai synth apre la porta di un viaggio fatto di canzoni, dove nonostante all’apparenza non sembri, ogni brano è collegato e rappresenta la crescita dell’autore.
“Le Nostre Verità” è un viaggio emozionale nel cuore della band
Si passa quindi dal brano ammiraglio di questo lavoro, che è “Le nostre verità”, a brani come “Un letto da rifare”. Sonorità puramente rock alternate a ballate più morbide, che comunque mantengono carattere. Uno stampo decisamente nostrano quello dei Brando, che ricalca a grandi linee un po’ i grandi della canzone italiana. Non ci sono particolari note che ammiccano verso orizzonti lontani, come possano essere quello inglese o americano.
Ogni brano è un’evoluzione o un involuzione di quello precedente
Piuttosto i Brando portano a casa un lavoro che segue un filo conduttore, anche a livello sonoro. Ogni brano è un evoluzione o un involuzione del precedente. In ogni pezzo è chiaro il sentimento che l’artista vuole portare alla luce, e dove non arrivano le parole – cantare in italiano spesso risulta ostico e si rischia di cadere nella monotonia – arrivano i suoni. Suoni studiati ed elaborati proprio per dare più spessore alla storia che la band e l’autore stanno raccontando. Il lavoro si chiude con “In abbandono (elogio al tempo)”. Ora, la scelta di chiudere l’album in questo modo mi ha davvero incuriosito. L’elogio al tempo sembra quasi un’accettazione nichilista della vita. Dopo un’album urlato e suonato in maniera viscerale, tutto si conclude in un accettazione della realtà, come se non ci fosse la speranza di ricominciare.
Un lavoro in equilibrio tra rock e cantautorato all’italiana
In conclusione, un ottimo primo lavoro per Marcello Maietta e compagni. A livello acustico i brani sono davvero ben registrati e l’uso dei suoni assolutamente studiato. 10 tracce, tra le quali due strumentali di apertura e chiusura, che non annoiano, ma riescono a intrattenere piacevolmente l’ascoltatore. Unico lato negativo del lavoro, forse la troppa prudenza, che ha portato la band a non esprimere del tutto il proprio potenziale nella parte centrale del disco, rischiando che i brani si somiglino troppo l’uno con l’altro. Osare è bene e, farlo con la testa è meglio. Un’ottimo debutto quindi quello di Brando che ha saputo reggersi in equilibrio su un filo molto sottile, senza cadere nel banale o nel trash d’autore.