EGO: "L’importante è che si respiri verità in quello che comunichiamo"
Diego, del duo aretino EGO, in uno scatto promozionale.
Diego, del duo aretino EGO, in uno scatto promozionale.

EGO: “L’importante è che si respiri verità in quello che comunichiamo”

Diamo il benvenuto su Music.it a EGO. Rompiamo il ghiaccio, raccontateci un aneddoto divertente o imbarazzante che vi è capitato sul palco o in studio.

Fortunatamente possiamo dire che fino ad oggi tutto è sempre andato abbastanza liscio, quindi non abbiamo ricordi particolarmente imbarazzanti per quanto riguarda il palco. Se proprio ci spremiamo le meningi vi possiamo raccontare di quella volta che, durante un festival, al secondo brano in scaletta, tutto a smesso di funzionare. Forse per un sovraccarico di energia, e quindi siamo dovuti ricorrere all’improvvisazione muniti solo di voce e batteria. Filippo che per l’occasione ha ricoperto il ruolo di secondo mc e synth umano. Per il resto continuiamo a fare gli scongiuri.

Cos’è EGO? Cosa vuole essere questo progetto?

EGO di base nasce come progetto rap dopo anni di mia latitanza da quest’ultimo, anni in cui ho realmente capito che potevo tornare a fare rap a modo mio, raccontandomi davvero per quello che sono, senza clichè, senza storie finte. Detto questo posso dire che EGO è un progetto in continua evoluzione; quando abbiamo registrato “Saette” (il primo album ufficiale) eravamo affascinati dalle sonorità che già Ghemon aveva sperimentato in “Orchidee”. Dopo di che non ci siamo mai dati grossi limiti, arrivando a tirare fuori un singolo da un sound decisamente più “elettronico” come “Fuori da qua”. In questo momento stiamo ripescando sonorità più cantautorali e quindi vediamo cosa succederà… di sicuro in studio ci divertiamo sempre un mondo. Le melodie pop rimangono, ci vengono, non lo facciamo apposta.

Parliamo di “Fuori da qua”. Come nasce questo brano? Dove vuole arrivare?

Il brano nasce da una strumentale un po’ inusuale per il progetto, prodotta come sempre dal mio socio Filippo Milanesi a.k.a J.Milla. Volevo cimetarmi nuovamente su una metrica nettamente più rap ma tutto quello che scrivevo dopo 5 minuti era già nel cestino del deskpot. Ho lasciato riposare il tutto diversi mesi prima di trovare la giusta strada, capire di cosa volevo parlare e alla fine “Fuori da qua” ha preso vita. Possiamo dire che è uno sfogo nei confronti di chi “ben pensa” e un invito a vivere la propria vita in libertà, da soli o con la giusta compagnia, lontani dai preconcetti o dai canoni estetici che ci vorrebbero tutti uguali.

Chi è la ragazza del video di “Fuori da qua”? Cosa rappresenta?

La ballerina del video è Marina Constantinescu della scuola di ballo Chapkis Dance Italy di Arezzo ed è stata favolosa, perché praticamente si è inventata questa sorta di coreografia nel giro di una settimana, lasciandoci tutti a bocca aperta. Rappresenta “la voglia di ballare” e quindi di lasciarsi andare, di distaccarsi anche solo per pochi minuti dal mondo, viaggiare con la mente con l’ausilio di due cuffie, sentirsi liberi anche in uno sputo di giardinetto pubblico in un qualsiasi giorno dell’anno. Speriamo che questa voglia di libertà sia arrivata a noi come a chi ci ascolta e ha guardato il video.

In questo momento storico il Rap sembra vivere di cliché e frasi fatte. Che cosa ti manca del vero rap?

Sono un fruitore di rap, soprattutto italiano, da svariati anni ormai, ancor prima della adolescenza, nonostante non mi sia mai dichiarato un rapper puro e crudo, quindi non so se sono il più adatto a rispondere a questa domanda. Ogni periodo storico di questo genere, della cultura hiphop, ha avuto le sue mode, le sue influenze, i suoi modi di dire. Mi manca un po’ quel periodo dove ogni crew, ogni mc, a seconda da dove veniva, proponeva un suo gergo che lo rendeva riconoscibile, tipo firma: Neffa con i suoi “già sai”, i Sottotono con “forse no” e tutta l’italianizzazione dello slang west side americano etc.

Che cosa è cambiato nel mondo dei rapper?

Oggi vedo parecchio appiattimento dal punto di vista dell’aggregazione, anche sul versante dei contenuti. Però non mi piace generalizzare, come in tutte le epoche c’è chi si tuffa nelle mode fino alla testa, chi prende solo quello che vuole prendere e chi ne sta a debita distanza; sicuramente al giorno d’oggi la prima strada va per la maggiore perché quello che fai viene subito messo in luce sui social e commentando e quindi non tutti hanno il coraggio di essere diversi.

Secondo voi è possibile tornare all’età dell’oro di questo genere? È possibile tornare al Rap che abbia realmente qualcosa da dire?

Credo che anche la cosiddetta età dell’oro avesse le sue pecche, i suoi pezzi da 90 ma anche i progetti che a riascoltarli sono un grande concentrato di difetti e barzellette. Io amo quando un testo mi comunica delle sensazioni, mi fa vivere delle immagini, poco mi importa se sia un testo politico o di amore, intriso di realtà o puramente metaforico. Voglio quindi spezzare una lancia a favore di artisti come Willie Peyote, Murubutu, Dutch Nazari, Massimo Pericolo e tutti quelli meno conosciuti che sanno raccontare loro stessi, la nostra società, ognuno a suo modo e con il proprio stile. Bisognerebbe smetterla di fermarsi solo a quello che le maggiori playlist di Spotify propinano come primi della lista, sotto di loro c’è un bel tesoro nascosto che vale la pena cercare. Molte cose non vi piaceranno, altre potrebbero rapirvi il cuore molto più facilmente di quanto non pensiate.

Come vi trovate nel panorama Rap italiano? E come si troverà in questo panorama un brano come “Fuori da qua”?

Come ci troviamo nel panorama rap italiano? Lo dice il titolo, semplicemente “Fuori Da Qua”, il posto dove stiamo meglio. Abbiamo un sacco di amici e colleghi che fanno rap nel vero senso della parola (vedi i fratelli Goldfellas) e che respirano 24h al giorno questa cultura. Non è una questione di pop o rap, noi facciamo musica per chi a voglia di ascoltare, se poi un brano rispetto a un’altro è più apprezzato dal pubblico rap o indie ben venga. L’importante è che si respiri verità in quello che comunichiamo.

Di chi o di che cosa non potete fare a meno in fase compositiva? Perché?

Dell’ansia, ma purtroppo per Filippo io ne sono un portatore sano e quindi il più delle volte tocca convinverci. Poteva andare peggio però.

Ultima domanda. Fatevi una domanda e datevi una risposta. Che potete dirci?

Cosa vi spinge a continuare? L’amore per questa cosa chiamata musica e la possibilità di raccontarci al pubblico tramite i nostri brani.