“Criminal Experiment” è il secondo album di Frank Fear, e di certo non si può etichettare come un ascolto semplice e destinato ai più. Forte di un background che lo vede come un pioniere dell’hardcore techno sul suolo italico, con il suo nuovo lavoro Frank Fear propone sonorità taglienti, angoscianti, che fondono ingredienti provenienti da panorami sonori disparati. Sono evidenti elementi riconducibili all’hardcore firmato Mescalinum United, al synthpop in stile Visage e Kraftwerk, passando per richiami al nu-metal dei KoRn ed all’instustrial targato Rammstein. “Criminal Experiment” è un album incentrato su sintetizzatori, drums elettroniche di vecchio stampo e samples vocali, ma non passano inosservate le chitarre distorte, frutto della collaborazione dell’artista col chitarrista Thomas Lee.
Con “Criminal Experiment”, Frank Fear propone sonorità taglienti, angoscianti, che fondono ingredienti provenienti da panorami sonori disparati
L’album è composto da 10 brani: vi portiamo all’attenzione la martellante “Space Rock”, dove l’impianto techno è coronato da synth aggressivi e chitarre graffianti. “Ocean Deep Song” è la traccia dai toni più soffusi dell’intero lavoro, un’idea costruita intorno ai suoni prodotti dai cetacei e che risulta accostarsi molto alla tradizione ambient. Si prosegue con la title track “Criminal Experiment”, dove Frank Fear tormenta l’ascoltatore con risate crude, ripetute in loop. Il disco si chiude con l’esplicita “Brain Wash”, in cui samples vocali presi da notiziari finiscono successivamente sullo sfondo di un brano techno. Sottolineiamo le due cover presenti nell’album: “Fade to Grey” è una rivisitazione dell’omonima hit dei Visage, arricchita di sonorità tendenti all’hardcore ed all’industrial. “Help Me”, invece, si avvale in maniera interessante delle tracce vocali ottenute da “Help!” degli intramontabili The Beatles, per ottenere un brano fortemente disturbante, con dissonanze evidenti.
Frank Fear propone un lavoro la cui fruizione è per un pubblico limitato. A nostro avviso, manca un filo logico che colleghi tutti i brani dell’album: le sonorità pacate di “Deep Ocean Song” sembrano particolarmente fuori dal contesto individuato dalla maggioranza dei pezzi. La denuncia è invece forte in “Brain Wash”. Con quest’ultimo brano l’artista dà risalto alla funzione alienante e all’indottrinamento passivo svolto dai media, lasciando libertà d’azione al sistema sovrastante. “Criminal Experiment” è un album in cui si trovano idee interessanti, ma che spesso mancano di uno sviluppo davvero convincente. Maggior attenzione poteva essere dedicata ai brani in fase di produzione: i suoni appaiono poco curati, i mix approssimativi. Peccato, sotto questo aspetto ci aspettavamo qualcosa in più da un artista con il passato di Frank Fear. Ci auguriamo che “Criminal Experiment” venga seguito da un terzo album da paura, o da Fear, se mi passate la battuta.