Daniele Barsanti ci parla di "Le Commesse", il suo ultimo singolo uscito per Apollo Records.
Daniele Barsanti ci parla di "Le Commesse", il suo ultimo singolo uscito per Apollo Records.

DANIELE BARSANTI: “Mi devo prendere un po’ in giro, ma anche stupire”

Daniele Barsanti, benvenuto su Music.it. Per iniziare e metterti a tuo agio, veniamo subito alla nostra prova del fuoco. Racconta ai lettori un momento imbarazzante, meglio se inedito, accaduto durante la tua carriera musicale.

Oddio, bene. In raltà questa cosa è un po’ porca. Si può fare, provo a pulire il pulibile (ride). Prima della carriera di Daniele Barsanti avevo una band, con la quale ho fatto tantissime esperienze live. Avevo un rito prima dei live; osservare una certa parte, intima, del corpo di un qualcuno. Se questa parte era gonfia, sarebbe venuta una bella serata. Se invece era scarna la serata sarebbe stata altrettanto deludente. Colpa tua eh, me l’ hai chiesto tu (ride). Anedditi rock’n’roll veri e propri.

Ci mancherebbe, anzi, a questo punto voglio sapere se avete avuto serate più gonfie o scarne (rido).

Purtroppo questo ragazzo, per sua sfortuna, ci ha fatto fare delle belle serate tante volte (ride). Lo saluto ormai, ciao Pedro!

Guarda, dopo aver saputo questo aneddoto, ho tutto quello che mi serve. Possiamo anche chiudere qui. Ma parliamo un po’ di te. Daniele Barsanti, non hai un nome d’arte. Perché?

Secondo me nome e cognome è già il proprio nome d’arte. L’esempio più banale della storia è forse Vasco Rossi, no? E poi il Signor Rossi è il nome del signore sui libri degli esercizi dei bambini alle elementari. Quando cresce la popolarità, il progetto, cresce il nome stesso dell’artista. E poi sono una persona sincera e diretta, come purtroppo hai potuto constatare poco fa. Non riesco a celarmi dietro niente, neanche dietro a un nome d’arte. Daniele Barsanti è lo stesso sopra e sotto al palco.

Beh, ci sta. Ormai si trovano in giro solo nomi strani e assurdi.

Mi fanno troppo ridere quelli che si chiamano per esempio Le piogge dell’Antartide conosciute. Dai ragazzi, basta (ride).

La tua carriera musicale ha avuto inizio grazie a Saturnino Celani, bassista di Jovanotti. Come è successo?

Confermo, è sempre colpa dei bassisti (ride). È stata un cosa molto positiva, perché ero nel periodo in cui avevo mollato la band e mi ero ritrovato solo. Cercavo un appiglio, sinceramente, e Saturnino è stato come uno scoglio in mare aperto. Gli è piaciuta talmente tanto “Lucia”, una delle mie canzoni, da pubblicarla sul proprio profilo Facebook quando ancora era un provino chitarra e voce. Questa cosa mi ha illuminato, e soprattutto mi ha messo un faro addosso nei confronti di produttori e case discografiche. Io lo ringrazio ancora tanto tutt’oggi. A lui quel gesto probabilmente non è costato niente, ma a me ha cambiato la vita.

Beh, lo ringraziamo tanto anche noi. E da quel giorno a oggi, ti senti cambiato in te e nella tua musica?

In realtà cambio spesso, perché la musica cresce insieme alla mia età, sensibilità e alla consapevolezza con la quale la faccio. Agli inizi la prima ventata che mi prendeva mi portava via. Adesso sì, mi faccio sempre cogliere di sorpresa dalle emozioni, ma poi quelle che seguo sono quelle che si possono concretizzare al meglio. Da quando avevo 22 anni – ora ne ho 29 – di tempo ne è passato, e fortunatamente sono cambiato un po’.

Non ti sei ancorato al passato, c’è stata innovazione e siamo arrivati a “Le Commesse”, il tuo ultimo singolo. Pensi che quelle commesse di cui parli facciano buon viso a cattivo gioco?

Credo che siano abbastanza lo specchio della società. Le ho prese come capro espiatorio per raccontare qualcosa che è associabile a tante realtà; come chi fa un lavoro stagionale o che rincorrono contratti. Alla Checco Zalone, il posto fisso è un po’ un idolo perso, impossibile da rincorrere. Paradossalmente parlando di commesse è come se parlassi della mia stessa vita, perché ci sono momenti di monotonia dirompente e noia incredibile. Poi magari riesci a cogliere quella sfumatura che ti fa fare la virata e ti fa andare verso progetti nuovi, ed è lì che sta la differenza tra persona e persona. Io racconto di una commessa che, invece, non riesce a fare quella virata e rimane ancorata per 20 anni a quel contratto stagionale. Poi si accorge che il tempo passa e purtroppo ormai non ha più 20 anni, ecco.

Anche a te è capitato di fare questi sorrisi al pubblico, anche quando non avresti voluto?

Più che al pubblico alle circostanze lavorative. Cercavo di adattarmi a un ambiente in cui tuttavia ero io a non essere adatto. Per anni ho provato a fare musica – e ci provo ancora (ride) – ma adesso sono su una strada più definita. Mi ricordo di esperienze in cui non ero adatto e volevo esserlo a tutti i costi perché avevo fame e lo volevo fare. Ho partecipato a X Factor, quando ho visto Michele Bravi, e mi rendevo conto che una parte di me rimaneva sempre celata e non veniva fuori. Forse la parte più sincera e da autore, quella con «il vaffanculo in mezzo ai denti» come dico nella canzone. Ci vuole davvero il tempo per riuscire a fare qualcosa che sia autentico e sincero, e ovviamente trovare l’occasione giusta per esternarlo. Nel mio caso Apollo Records, che ha creduto in me e mi sta facendo fare questa produzione e il disco in lavorazione.

Immagino ci sia stato un grande lavoro interiore.

Uno sconfinato lavoro interiore. Chi si occupa di questo, come chi lavora su se stesso, penso viva il doppio degli anni realmente vissuti, nel bene e nel male. Ti lasciano dentro delle sconfitte, ma ti fanno anche godere.

E di godimenti nella tua carriera, penso ce ne siano stati, tra cui l’aprire al GabbaniLive18 di Francesco Gabbani.

Devo essere sincero, mi sono tolto molte soddisfazioni. Anche se non vedo mai il punto di arrivo, ho sempre voglia di andare avanti. Però a volte passano anni, adesso noi li riassumiamo in una chiaccherata piacevolissima, ma in realtà sono momenti a distanza di anche due anni l’uno dall’altro. Vengono anche quei momenti in cui ti siedi e pensi “ma chi me lo fa fare?”, a stare qui ad aspettare come un cane sperando che giri qualche cosa e attendere il proprio turno fuori dalla giostra. Francesco Gabbani è un amico, e con lui si dice sempre: «Questo lavoro è un po’ come una giostra, se stai lì ad aspettare che arrivi il tuo turno prima o poi si libera un posto. Se invece ti stanchi e lasci la fila hai finito e non giochi più». Bisogna avere la forza di tenere botta.

E tu ce l’hai questa forza?

Penso di sì, sennò non sarei qui a chiaccherare con te (ride). A parte gli scherzi ci vuole fortuna e, cosa principale, la passione. Di quella purtroppo ne ho tanta. Purtroppo, mi fa del male (ride).

Passione che ho visto anche sui social. Giochi molto con la musica, come quel video in cui crei una canzone moderna con una matita di Saint-Laurent…

Mi devo prendere un po’ in giro, ma anche stupire. Mi piace divertirmi con la musica, è uno strumento per dare qualcosa in più al mio vivere e al mio quotidiano. Sono un eccentrico malato di tecnicismi, lo faccio per darmi un’emozione in più.

E tornando ai social, parlando dell’ultimo periodo e della tipologia di “concerti” che abbiamo avuto, come pensi che cambierà la musica d’ora in poi? Pensi che gli streaming prenderanno più piede?

Sono sempre per la vecchia scuola. È come pensare che il sesso a distanza sia uguale al rapporto sessuale con la persona accanto. Un po’ la musica è uguale, è un rapporto sessuale con tantissime persone nello stesso momento. Secondo me a distanza si gode a metà. Bisogna cercare di lavorare sulla sicurezza, prima possibile, e permettere di tornare a fare musica dal vivo, in totale sicurezza. Non credo nello streaming. È divertente, ma deve essere un periodo.

Sono d’accordo con te. Il concerto live è insostituibile. Parlando d’altro, c’è un grande artista per il daresti l’anima pur di poterci collaborare?

Mi fanno spesso questa domanda, e non so mai dare una risposta su un artista cantante. Avrei voluto scrivere una canzone per un film di Francesco Nuti. Una cosa strana, ma era anche un grandissimo musicista e mi affascina troppo la sua poetica e i suoi film, mi ci ritrovo tanto. Anzi, nel disco che uscirà ci saranno anche diverse citazioni tratte dai suoi film. Un altro riferimento cinematografico è Leonardo Pieraccioni, ha una vena drammatica-ironica che mi piace davvero tanto. Quindi, mi sgamo questa domanda non citando nessun collega cantautore, così non si offende nessuno, e parlo di cinema, che fa parte della mia laurea, così il mio babbo è contento (ride).

È interessante unire tutti gli aspetti dell’arte nella musica.

Io sono laureato in “Cinema, Musica e Teatro” a Pisa. Per quanto l’abbia fatta per anni l’università grazie ai miei fondi, continuavo a non dare esami. Poi ho studiato qualcosa, aperto qualche libro, e nel cinema ho scoperto un mondo che si unisce in tantissime cose con la musica. Per me le colonne sonore sono super emozionanti. Penso a “Stregati” di Francesco Nuti e a quando si vede il Porto di Genova di notte coi sassofoni, i riverberi e gli echi in lontananza, sono cose che mi emozionano tantissimo, mi scaldano il cuore. Davvero un bel connubio.

Vero, e molto spesso la gente la dà per scontata la colonna sonora. Non se ne accorge che c’è.

Perché è totalmente coinvolta nell’emozione, però è un bel segnale perché vuol dire che quella persona è totalmente dentro. Come per la canzone, non devi pensare a quello e quell’altro, ti arriva tutta e ti coinvolge.

Molto spesso, effettivamente, i tecnicismi mi stuccano.

Ho passato varie fasi, a volte ho ascoltato la musica come se fossi stato un registratore di cassa. Poi a un certo punto mi sono andato a cercare quell’emozione generale e indefinita che è poi quella che ti fa innamorare di una canzone rispetto a un’altra, a prescindere dal suo arrangiamento. Quest’ultimo è importantissimo, ma alla base c’è una matrice emotiva che ti arriva o non ti arriva.

Esaustivo, come sempre. E parlando dell’album in arrivo, che musica ascolteremo? Ci saranno dei cambiamenti?

Ho lavorato più che altro sul linguaggio comune. Io sono fissato, dalle prime righe bisogna fare riconoscere subito la penna dell’artista e dell’autore. Oltre alla voce si deve sentire il mondo, quando fai entrare l’ascoltatore nella tua stanza, nel tuo punto di vista e nei tuoi occhi. Non è un disco sui mestieri, ho fatto solo “Le Commesse” come titolo sul lavoro (ride). Che alla fine parli di lavoro fino a un certo punto, son più conseguenze emotive di una società viste dal punto di vista del lavoro. È un disco che parla di vita a 30 anni, di nottate. Di zingarate.

Zingarate, mi piace. Un album fresco e sentito, tuo personale.

Assolutamente biografico. Tutto quello che vedo e sento ce l’ho buttato dentro. C’è anche una bella fetta di romanzo, perché secondo me le canzoni devono essere un posto magico dove tutto è perfetto anche nella sua discrepanza e malinconia. Però ci deve essere una corrispondenza di tempi incredibile. L’emozione deve arrivare a quella botta lì, in quel secondo lì. Io lavoro per far godere la gente.

È la cosa più bella che potessi sentire in questo pomeriggio. Più calda del caldo che c’è fuori. E poi sei anche polistrumentista. Canto, pianoforte, chitarra, synth. La matita Saint-Laurent.

Suono malaccio tutto, quel che mi basta per la composizione delle canzoni. Poi lascio agli esperti musicisti il lavoro vero. Suonando un pochino tutto riesco ad avere chiara l’idea in testa, la percepisco. E poi mi diverto a indagare su strumenti e cose nuove, è passione.

Un po’ come un gioco.

Assolutamente, scoprire divertendosi. Lo strumento è un po’ l’estensione delle braccia, un tutt’uno. Dico sempre che tu sei A, la chitarra è B e devi far nascere C. Se mancano due soggetti non riesci a tirar fuori l’oggetto.

E tornando al gioco, allora, giochiamo. Se la tua musica fosse un odore, quale sarebbe?

Sarebbe il profumo dell’estate quando lo senti le prime sere di maggio. Oppure il ginepro.

Il ginepro. Perché?

Perché è indicato per il gin, semplicemente (ride).

Mi hai quasi fatto strozzare. E poi adoro l’odore del gin. Mi piace quasi più odorarlo che berlo.

A sì? Allora tu l’odori e a me lo fai bere così siam contenti tutti e due e via (ride).

Abbiamo un patto. Ho letto una cosa molto curiosa nella tua bio. «Ogni notte, prima di dormire, vado a farmi due giri sulla luna», che vuol dire?

Mi conviene cancellarlo, è colpa mia (ride). In realtà è vero, perché sono uno che ama farsi le vialate in macchina. Molte delle mie canzoni nascono in macchina. E ogni notte, prima di andare a letto, mi piace farmi questa vialata, anche in solitudine. Vedere al città dove vivo spenta e godermi il panorama, il silenzio, magari con la musica e la radio accesa.

E cosa usi per trovare ispirazione? Ci sono altri cantautori?

Tutto ciò che mi colpisce, non ho un genere prestabilito. Mi garba qualcosa e capisco quello di bello che c’è secondo me o che mi arriva. In realtà tanta musica italiana, il primo disco che ho comprato è stato di Samuele Bersani. È stata una scelta diretta e semplice, mi piaceva la copertina e allora l’ho comprato, da bambino, avevo circa 12 anni. Poi c’è il primo Vasco Rossi, Luca Carboni, gli Oasis. Anche la Bossa nova se c’è un pezzo che mi piace. L’altro giorno ho ascoltato un pezzo di Ornella Vanoni, sono uno che è innamorato delle canzoni a prescindere del genere. Se sento un’idea forte che mi arriva magari poi divento fan di quel genere, ma prima vado sulla canzone.

Daniele Barsanti è stato un piacere per me. Adesso puoi chiudere come preferisci.

Saluto molto volentieri e ringrazio per questa chiaccherata molto piacevole. E volevo fare una raccomandazione: ascoltare la canzone “Le Commesse” con un vaffanculo in mezzo ai denti, perché quella è la sensazione con la quale va percepita.

Lo faremo. Ancora grazie infinite, e speriamo di vederci presto, per un live magari. Io porto il gin. A presto!

Spero presto, perché ne ho davvero voglia ti dico la verità. No però, tu porta il ginepro e io porto il gin, facciamo così. Così ognuno ha la sua dipendenza e stiamo tranquilli (ride). Un abbraccio, a presto!

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