feelingenuo benvenuto su Music.it! Rompiamo subito il ghiaccio con un tuo ricordo: raccontaci qualcosa di insolito, imbarazzante, accaduto durante il tuo live!
Ciao! Sono un tipo piuttosto goffo, quindi spesso mi è capitato che mi si staccasse la cinghia della chitarra, che mi si rompessero le corde, che si rovesciassero bottigliette d’acqua o birre sul palco e sui cavi, però, forse, la cosa più imbarazzante e strana che mi sia mai capitata è stata quando, tanti anni fa, ad una delle mie prime esibizioni in un piccolissimo bar dimenticato da Dio, un signore mi ha minacciato di “mostrarmi il suo karate” (cito testualmente) perché avevo cantato una canzone che faceva allusioni sessuali (molto velate però) e la riteneva di cattivo gusto.
Come prendono forma le tue canzoni? Prediligi scrivere alle prime luci dell’alba, al crepuscolo o nella notte fonda?
Per me non esiste un momento preciso per le canzoni, dipende tutto da quando l’ispirazione mi travolge. Non sono solito revisionare, tendo a scrivere di getto: le canzoni o sono pronte in mezz’ora o non se ne fa niente. Quando l’ossatura e la struttura sono consolidate, allora poi sì, chiaramente c’è un ragionamento sul suono delle parole e piccoli accorgimenti, ma in linea di massima le canzoni quasi si scrivono da sole in pochissimo tempo. Generalmente i momenti in cui scrivo di più sono la mattina e la sera, raramente scrivo di pomeriggio, soprattutto per questioni lavorative.
Quali sono i tre album che hanno segnato e lasciato un’impronta indelebile nel tuo percorso musicale? E quale quello che ti sarebbe piaciuto scrivere?
Sono invidioso, in senso buono, di tanti artisti. Dovendo citare tre album penso a “Storia di un impiegato” di Fabrizio De André, perché a dodici anni mi ha folgorato e mi ha fatto capire che volevo scrivere anche io canzoni. Il secondo album che per me è fondamentale è “The Dark Side of The Moon”, per tutto ciò che riguarda la sperimentazione sonora, la psichedelia e l’universo onirico che i Pink Floyd sono riusciti a raccontare. In un solo album c’è tutto: il mistero, la follia, il gusto per tutto ciò che è proibito e attraente al tempo stesso, un capolavoro senza tempo.
Mi trovi pienamente d’accordo!
Il terzo album di cui non posso fare a meno è “Una Somma di Piccole cose” di Niccolò Fabi; trovo una verità disarmante in tutto l’album, che parte da come il disco suona, fino alla pelle d’oca che ogni parola del cantautore romano riesce a suscitare. Un disco a mio avviso perfetto e che ho ascoltato fino allo sfinimento. Menzione speciale a “22, A Million” di Bon Iver, che forse è l’album che avrei voluto scrivere, il perché sta a metà tra l’avanguardia musicale di cui è portatore e la criptica originalità dei testi al suo interno. Uno dei migliori album che abbia ascoltato egli ultimi dieci anni senza alcun dubbio.
Nel tuo ultimo singolo “Che strano” canti: «Sei la mia malinconia, la mia cura, la mia malattia, quel che resta, quel che manca, quello che non va più via». Quanto il tuo passato può influire nel tuo presente?
Credo che il passato insista sul presente, sia positivamente che negativamente. La memoria ha un valore enorme per me, per il mio modo di vivere, e trovo in essa molti insegnamenti da poter poi applicare nel mio futuro. Credo che l’amore stabilisca un legame tra persone, l’amore può finire, può trasformarsi in altro, quando si è fortunati in affetto, quando si è sfortunati in rancore: il legame resta ed è ciò che “non va più via”.
Può un’assenza essere tanto presente e credi che un amore possa finire veramente per sempre? Se no, cosa ne rimane?
L’assenza è il contrario della presenza, laddove il pensiero dell’assenza permane, senza lasciare spazio alla noncuranza o all’indifferenza, quel legame continua ad esistere. Non necessariamente sottintende altro, io credo che quando le relazioni finiscono, finiscono, non c’è spazio per una seconda stagione dell’amore, ma tenere il buono di quel che è stato è certamente preferibile ad offuscare tutto con il fumo delle colpe e delle accuse. In “Che strano” parlo proprio di questo, di quel legame che stringe due persone che si sono volute bene e che finiscono, comunque, per appartenersi.
Dopo questo singolo quali saranno i tuoi prossimi obiettivi, sogni nel cassetto?
L’obbiettivo è chiaramente raccogliere tutto in quel contenitore che nostalgicamente chiamo LP. L’idea è di concludere il mio percorso con un album, a cui stiamo già lavorando assieme a Revubs. Il sogno nel cassetto è di riuscire a suonare questo album venturo il più possibile lungo la penisola, con tutti i miei musicisti, mi mancano tanto in concerti con loro e non vedo l’ora di poter ricominciare.
Se avessi a disposizione una macchina del tempo, torneresti mai nel tuo passato?
Credo di no, tornare nel passato con la consapevolezza del futuro mi impedirebbe probabilmente di arrivare a questo futuro, cosa che non vorrei accadesse. Ogni tappa del passato è un mattoncino del futuro. Sono soddisfatto del mio presente, quindi eviterei di comprometterlo. Se però la macchina del tempo fosse disponibile per vedere il passato di chiunque altro, allora forse un salto a Woodstock o nella Parigi della Belle Époque lo farei volentieri.
C’è un sapore che attribuiresti alla tua musica? Dolce e delicato o amaro ed intenso?
Non ci avevo mai pensato, però riflettendoci direi che la mia musica è agrodolce: i suoi ingredienti presi singolarmente hanno sapori contrastanti, ma uniti e miscelati si bilanciano e diventano godibili.
In futuro, con chi ti piacerebbe condividere il palco? C’è un artista con cui ti piacerebbe collaborare?
Un artista con cui sogno di collaborare da sempre è Daniele Silvestri; trovo in lui un modello di ispirazione, la voglia costante di reinventarsi e il dono di essere un funambolico dominatore della parola, scrivere e suonare insieme a lui credo sarebbe un’esperienza indimenticabile. Chiaramente anche condividere con lui il palco non sarebbe per niente male, anzi, sarebbe un sogno che si avvera.
feelingenuo siamo arrivati ai saluti, ma il finale spetta a te. Saluta i nostri lettori con una citazione o, se preferisci, con una frase tratta dalle tue canzoni! Grazie per essere stato con noi e a presto!!!
Per fare una citazione che sia anche un saluto, nel ringraziarvi per questa bellissima intervista io vi dico: «È stato meglio lasciarci che non esserci mai incontrati».