GARAGEVENTINOVE e IL MALE BANALE ispirato ad Hannah Arendt (Album)
Una foto promozionale dei GarageVentiNove.
Una foto promozionale dei GarageVentiNove.

GARAGEVENTINOVE e IL MALE BANALE ispirato ad Hannah Arendt (Album)

Già dal titolo “Il male banale”, ultimo lavoro dei GarageVentiNove, uscito lo scorso luglio per Overdub Recordings, si preannuncia come un album concettuale. Impossibile non pensare al celebre “La banalità del male” di Hannah Arendt. Nessuno avrebbe voluto si desse storicamente l’occasione per la scrittura di quel saggio, di cui raccomando caldamente la lettura. Ho pensato di accompagnare l’ascolto de “Il male banale” col testo della filosofa. Un’esperienza da brividi.

Anche perché l’album inizia con “Hannah A.”. Abbastanza prevedibile come incipit. Le tonalità post-rock e il ritmo cadenzato della traccia sono avvolti da effetti disturbanti e da un tappeto di coretti ansiogeni. Non avrei chiesto uno sfondo musicale migliore per una rilettura di una certa gravità. Con “Hannah A.” gli effetti terribili di un’intenzione mediocre si caricano di negatività in modo radicale. Brian fa da perfetto controcanto ai riff di chitarra, sfumando il contrasto tra la gravità degli strumenti acustici e l’acutezza degli effetti.

Con “Labirinti Silenti” il microfono principale passa a Patty. Ha un timbro metallico e freddo, che si infila negli interstizi tra le ossa. In alcuni passaggi non sembra neanche una voce femminile ma un effetto creato al sintetizzatore. Per melodia i GarageVentiNove hanno mixato qualsiasi cosa non sia armonica per orecchie umane. Ciò che è acustico suona come fosse elettronico e viceversa. Il loro trasformismo sonoro è davvero sensazionale.

Restano solo tanti applausi ai GarageVentiNove per aver confermato i sospetti iniziali. “Il male banale” è un concept album.

Terza traccia, torna Brian a farci compagnia. “Guarda un po’ più in là” ci invita a non essere superficiali. Ma non è solo oltre il nostro naso che dobbiamo spingere lo sguardo. Anche gli ostacoli dobbiamo superare. Forse è come quando cammini in salita: se ti guardi i piedi, fa meno paura. Appena si mette un punto al verso, le pennate diventa violente, affatto addolcite dalle tastiere che sembrano ruggire. Martellante è il tappeto di percussioni che accompagna tutta la traccia.

In “Nervo scoperto” la metallica voce di Patty lancia un appello accorato a ciò che di umano è rimasto nell’animale più pericoloso del pianeta. Non giudicare senza sapere. Perfettamente in linea con la preghiera della lirica, la linea vocale si piega a una performance più intima e calda. Interessanti le contaminazioni dal symphonic metal con cui la sezione acustica della band infarcisce l’arsenale elettronico.

Ne “Il male banale” non c’è desiderio di eternare il tramonto dei grandi idoli. C’è voglia di sopravvivere alla lunga e fredda notte dell’inverno.

“Down the river” e “Ocean” sono due rock ballad dai toni esistenziali. Brian esibisce tonalità verdeniche in linea con la composizione di “Down the river”. Il tutto accompagnato dai contrappunti di Patty, che sostituiscono perfettamente il sottofondo di synth a cui ci stavamo abituando. “Ocean” ha un registro completamente diverso, dato da contaminazioni folk e sonorità provenienti da altri mondi. Un arpeggio sentimentale, elegante e discreto si trasforma presto in una cascata di distorsioni. La voce di Patty si conferma camaleontica come poche altre. Pulita, e anche vagamente nasale, si sposa perfettamente con gli scenari naturali del folk nordico.

L’alternative rock dei GarageVentiNove è certosino. Tanto. Possiamo apprezzarlo ancora di più in “(Precipizio) in clessidra”. Non c’è un effetto fuori posto, non c’è una dissonanza che non ti fanno amare fino alla fine. Credo abbiano abbracciato a pieno una gioia dell’età che stiamo vivendo. Relativizzano in musica l’arbitrarietà storica che viene imputata alla verità dei concetti dall’ultimo pensiero debole. L’uomo è uomo, il male è il male per i GarageVentiNove. È la musica a farsi carico di contraddizioni insanabili a livello cognitivo.

Il preludio di “Mari gialli” è inequivocabilmente punk. Non mi convince la chimica che si crea tra la voce calma ed elegante di Patty e quello che accade nella melodia. Tra complicati sbalzi ritmici, apparente disordine compositivo, è un brano che si sarebbe fatto apprezzare in versione strumentale. La linea vocale sembra appiccicarsi malamente dove trova spazio. E ce ne è davvero poco.

L’alternative rock dei GarageVentiNove è certosino. Non c’è un effetto fuori posto, non c’è una dissonanza che non ti fanno amare fino alla fine.

Poi accade l’impensabile. Con le ultime due tracce, “Unwise God” e “Kali Yuga”, i GarageVentiNove svelano la loro anima tradizionalista. “Unwise God” è un impasto di wave psichedelico e gocciole di rap. Con intriganti infiltrazioni nu metal come non se ne sentivano da tempo. Nell’era di Calì, che chiude “Il male banale” a predominare è il basso di Claudio Fusato. Si conferma l’ottima caratura nella composizione. Tuttavia, rispetto al coraggio mostrato nelle precedenti 10 tracce, risulta un soft punk senza infamia, seppur con lode.

Restano solo tanti applausi ai GarageVentiNove per aver confermato i sospetti iniziali. “Il male banale” è un concept album. Sono in grado di creare atmosfere nere taglienti come lame. Il post rock a cui fanno riferimento non ha niente di decadente. Hanno preso in mano il loro talento, le loro storie, le loro idee e li hanno tradotti in musica. Non c’è desiderio di eternare il tramonto dei grandi idoli. C’è voglia di sopravvivere alla lunga e fredda notte dell’inverno.

 

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GARAGEVENTINOVE

IL MALE BANALE

2 luglio 2018

Overdub Recordings

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