Ciao Gioia Libardoni, benvenuta su Music.it! Partiamo dall’inizio. Raccontaci cosa ti ha portato a intraprendere questo percorso. Quando hai deciso che saresti entrata nel mondo del cinema? Quale percorso di formazione hai intrapreso?
Sono sempre stata affascinata dalla letteratura e dal bisogno nella nostra vita della narrazione, del racconto fin dall’antichità. E di come il cinema potesse tradurre il racconto in immagini in movimento, musica e recitazione per il grande pubblico. Quando ho capito che era possibile vivere di questa passione e il mondo del cinema poteva diventare un lavoro al quale anch’io potevo accedere mi sono trasferita a Roma dove ho frequentato la scuola di recitazione Duse di Francesca de Sapio.
Ci sono dei libri che porti sempre con te? Chi sono i tuoi registi preferiti?
Johann Wolfgang Von Goethe è sempre stato il mio autore preferito, anche se la mia tesi di maturità fu su “Il ritratto di Dorian Gray” di Oscar Wilde. La letteratura tedesca mi ha sempre colpito profondamente, non so spiegare il perché. Il mio film preferito di sempre è il classico “Luci della Ribalta” di Charlie Chaplin, lo avrò visto 20 volte (anzi ora me lo guardo per la prima volta in lingua originale) e a casa conservo una copia della sceneggiatura originale con le note di Charlie Chaplin. è un film dolce e di una profondità senza pari, tutti i film di Charlie Chaplin sono cosi espressivi, profondi, eleganti e visionari.
Perché hai deciso di proseguire il tuo lavoro negli Stati Uniti? Quali differenze culturali, artistiche e lavorative riscontri?
Ho avuto un momento di stanchezza, abitavo a Roma e non ero felice della mia vita, in più ero scontenta per come andava il lavoro. Decisi di tornare a casa in Trentino per una pausa e ho cominciato a riflettere sul mio futuro, quando sono entrata in contatto col mondo della produzione americana grazie a delle collaborazioni per delle pellicole girate qui in Italia. Sono stata affascinata dal modo di essere, di lavorare, così diverso dal nostro. Gli americani hanno un senso forte dell’orgoglio del lavoro, una bella fierezza, ma anche umiltà e cura dettagli. Sono molto aperti e anche io volevo essere cosi. Ecco gli americani sono semplicemente fieri di essere americani, hanno un atteggiamento positivo, costruttivo. In questo in qualche modo mi sono ritrovata con le mie origine trentine.
Hai lavorato a fianco di attori universalmente noti, da John Travolta ad Antonio Banderas. Cosa ti ha dato in termini di professionalità? Cosa vedi in quel mondo di produzione e consumo artistico?
Sono tutti attori che mi hanno dato moltissimo. Cominciamo col dire che ogni giorno sul set ti salutano, un gesto di umiltà, riconoscimento e rispetto per il lavoro di tutti. Lo dico perché la mia esperienza in Italia è stata un po’ diversa e questo mi ha molto colpita. Mi hanno regalato conoscenza, insegnato che l’attore deve essere fully committed sempre, anche se ci sono elementi che possono non piacere. Mi hanno insegnato a lavorare in team, cosa che adoro!
Come mai sei voluta passare di là dalla cinepresa? Raccontaci la tua esperienza da film maker. Cosa hai fatto fino a oggi? Che significato ha per te?
Come dicevo sopra il passaggio dietro la camera è stato casuale. E ringrazio molto quel giorno. Ho avuto la possibilità di avere la visione completa del film, dall’origine, alla realizzazione, allo schermo. Recitando in piccoli ruoli non sono mai riuscita a capire bene cosa succedeva, era tutto cosi veloce e poi finiva subito. Ero intimorita e forse non mi sono mai sentita o non mi hanno mai fatta sentire veramente all’altezza di questo mestiere. Beh, stando dietro si smascherano anche tanti bluff ed è stata una crescita incessante di fiducia nel mio talento artistico.
E invece, come cambiano le logiche lavorative nel mondo della produzione? Riesci a mettere tutta la tua personalità in ogni campo lavorativo? Dove ti senti a più agio?
L’attore può dare enormi contributi alla parte produttiva, in America molti attori sono anche produttori, a volte anche sceneggiatori, basti pensare a Sylvester Stallone inventore ed interprete di Rocky, o Bradley Cooper, o al nostro Roberto Benigni.
La tua carriera, i tuoi ruoli professionali indicano multiculturalità e una personalità versatile. Ma dove ti senti davvero tu, ora?
In una bellissima metropoli dove c’è tantissima diversità, divertimento e apertura mentale, dove io sono italiana, ne del nord ne del sud, ricca delle mie radici culturali ma libera di avere la mia strada fuori da ambienti monoculturali. Io sono italiana in America ed è un sogno.
Dove ti vedi fra dieci anni?
Professionalmente? Vedremo!
Raccontaci a cosa stai lavorando?
Lo scoprirete a breve.
Salutiamoci con un gioco. Chiudi gli occhi. Respira. Gioia Liberdoni da bambina, in una sala cinematografica. Che cosa stai guardando?
Grazie per questa domanda bellissima! Un fatto. Gioia Libardoni a 4 anni seduta sulla seggiolina in fondo alla sala gremita di bambini alla scuola materna, il mio primo film: “Capuccetto Rosso”. Come tutti i bambini ero in totale ammirazione fino a quando il lupo saltò fuori dallo schermo e mi ritrovai davanti il suo muso, scoppiai in lacrime. Proiezione interrotta. Un disagio simile l’ho avuto la scorsa estate al festival Ischia Global con “Dogman” di Matteo Garrone, a fine proiezione ho dovuto fare una passeggiata da sola per sciogliere le tensioni allo stomaco. È incredibile quanto cresciamo e quanto poco cambiamo!