Gli Everfrost nascono da un’ idea insolita: coniugare il symphonic metal con le tematiche tipiche del manga, il fumetto giapponese ormai popolare ovunque. Una premessa a prima vista bislacca, che certamente non mancherà di far storcere il naso agli (agguerriti) puristi dei due medium. Tanto più che “Winterider” viene rilasciato assieme a un vero e proprio mini – manga di venti pagine, che racconta la storia contenuta nelle canzoni.
Un’occhiata alla copertina che, più che da un manga, sembra uscita dalla pubblicità di un videogame, non aiuta a togliersi questa impressione. Ma sarebbe ingiusto giudicare questo lavoro così in fretta. Ci troviamo infatti di fronte a un album solido, dalla musicalità efficace e dalla cura tecnica notevole. Il risultato di questo mix dà vita a un symphonic metal dal sound positivo ed energico, il cui ascolto scivola leggero sull’orecchio nonostante l’opulenza strumentale.
Un symphonic metal dal sound positivo ed energico, che scivola leggero sull’orecchio nonostante l’opulenza strumentale
Si parte con l’atmosfera sognante di “Winterider” e “Juhunnus in January”, per poi irrobustire leggermente il sound su “Chainlace Angel”, brano sostenuto da un riff ruvidamente prog, il ché crea un interessante contrasto con il ritornello sinfonico. “Actraiser” è forse il brano più orecchiabile di “Winterider”, caratterizzato da una linea ritmica e un ritornello semplici e catchy.
“Cold Night Remedy” è la canzone che gli Everfrost hanno scelto per il video di promozione, ed è effettivamente un concentrato della loro linea espressiva. Cavalcate power si alternano a fraseggi progressive e sequenze sinfoniche in modo convincente e trascinante. “Above the Treeline” si apre con quello che sembra uno sfacciato omaggio ai Queen, per poi sciogliersi in una tenera canzone d’amore. “Brandy and Antifreeze” rinconferma l’efficacia della formula, senza aggiungere altra carne al fuoco.
“Il manierismo del comparto strumentale è bilanciato da una innegabile inventiva melodica”
Non così “Die Young”, cover di Kesha (!) in cui le acide sonorità rosa confetto della traccia originale vengono trasformate in un – leggermente – più robusto brano symphonic metal. Il risultato è fastidiosamente riuscito. Come l’ormai classica “Ops i did it again” dei Children of Bodom, gli Everfrost riescono a fare propria la canzone senza neanche snaturarla, creando un risultato che diverte e sorprende. “Darkwoods drains Backwaters” è una scatenata cavalcata power, chiusa da un vertiginoso solo di tastiera.
L’album finisce sulla magica “A Whisper in a Frozen Tale”, che riprende ad anello le tematiche della traccia di apertura, in una lunga epopea tra i ghiacci. Per concludere, sebbene l’ultima fatica degli Everfrost non sia un capolavoro di originalità, si tratta sicuramente di un’opera valida ed estremamente curata. Il manierismo del comparto strumentale è bilanciato da una innegabile inventiva nel costruire melodie efficaci, come una brezza scandinava fredda, ma gioiosa.