Hometown Heroes è un piacere avervi qui. Come con tutte le band, vorrei aprire quest’intervista in maniera singolare, chiedendovi di raccontarmi un aneddoto legato alla vostra musica, qualcosa di frizzante e divertente.
Ciao! Il piacere è nostro. Di aneddoti ce ne sarebbero parecchi. Questo riguarda uno degli ultimi live che abbiamo fatto: non sappiamo ancora se il club in cui abbiamo suonato fosse sprovvisto di climatizzatore o se questo fosse fuori uso, fatto sta che il termometro sfiorava i 30° e noi non avevamo mai sudato cosi tanto in vita nostra. Chi era presente ci ha visti quasi affogare.
Leggevo dalla vostra biografia che avete avuto un lungo periodo di stallo, e da qui anche un cambio di line-up e nome. A cosa è dovuta questa lunga mancanza dai palchi della scena romana?
Quando è nata la band, nel 2008, eravamo troppo giovani per capire quanto impegno è necessario per fare andare avanti una band. Le cose cominciavano anche ad andare bene, ma piano piano la poca voglia di rinunciare a giornate intere per provare, i pochi soldi a disposizione e le tante scoperte che si fanno a quell’età – cosa che ora sembra succedere molto prima – hanno fatto sì che la band si perdesse per strada, anche se in un modo o nell’altro è sempre rimasta viva e presente. Nessuno di noi ha smesso di sognare, non svegliateci.
Credete di aver trovato finalmente una stabilità all’interno del gruppo? Cos’è cambiato, ovviamente a parte il nome?
Essere in una band non significa soltanto suonare insieme; a volte anche se si è amici e si è cresciuti insieme comunicare e andare avanti tutti con gli stessi stimoli non è semplice. A volte comporre, provare, registrare musica può essere un processo lento, lentissimo che può portare anche a un po’ di esasperazione, e ci sta. Ora siamo carichi più che mai e abbiamo tantissima voglia di fare, e di toglierci un po’ di soddisfazioni, speriamo di andare avanti così!
Le vostre influenze sono chiare: blink-182, Sum 41, Green Day. Ma avete anche altri riferimenti musicali che escono da quella che è la storia punk-rock americana o siete dei puristi del genere?
Diciamo che facciamo parte della generazione di musicisti cresciuti con i blink-182, Mtv, TRL e via dicendo. Ecco, possiamo dire che la nostra musica è influenzata anche da tutte quelle band che da “Enema of the State” (1999) dei blink-182 in poi hanno trovato terreno fertile. Parliamo di band come gli Yellowcard, Taking Back Sunday, Fall Out Boy e The Ataris, ma anche da band un po’ più attuali come gli All Time Low, gli As It Is o i Neck Deep.
Parlatemi del vostro futuro. Siete impegnati nella registrazione del primo album, in uscita probabilmente questo inverno. Cosa dobbiamo aspettarci? Come vi trovate a lavorare in studio? Che tipo di difficoltà state incontrando?
Chi si è cimentato in registrazioni e produzioni musicali sa già quanto questo sia impegnativo, sia in termini di tempo che di prezzo, che spesso è veramente proibitivo. Noi, non avendo mai avuto a disposizione chissà quanti mezzi economici, abbiamo cercato sempre di arrangiarci. La nostre prime demo sono state registrate tutte con mezzi e software di fortuna. Una volta creammo un filtro anti-pop per il microfono con una scopa, una stampella e un collant, i risultati non furono però cosi entusiasmanti. Ora stiamo registrando con mezzi molto più professionali e con persone competenti, grazie anche al nostro nuovo chitarrista che usa Cubase come un pro! E c’è da dire che la vita in studio ci piace parecchio. Cosa dovete aspettarvi? Chi è venuto a sentirci avrà già sentito la maggior parte delle canzoni che saranno contenute nel primo album, ma ci sarà anche qualche sorpresa.
È stato davvero un piacere scambiare due chiacchiere con voi, vi lascio spazio per dire quello che volete e conquistare i nostri lettori.
Grazie a tutti, speriamo di vederci presto a qualche nostro live o sui social!