A seguito dei sconvolgenti fatti che hanno coinvolto Beirut, il cantante britannico-libanese Mika trasmetterà in live streaming un concerto, “I Love Berut”, in quattro fusi orari il 19 settembre per aiutare le persone colpite dall’esplosione. L’evento servirà a raccogliere proventi a supporto degli enti di beneficenza che stanno lavorando senza sosta: Croce Rossa Libano e Save the Children Libano. Mika, distrutto dai tradici eventi che hanno coinvolto la sua città natale, ha rilasciato alcune dichiarazioni d’amore e di speranza.
«Dopo tutti gli anni di guerra civile, crisi finanziaria e sconvolgimenti politici, la notizia dell’esplosione a Beirut è stata tragica. Il mio cuore si è spezzato pensando alle famiglie che hanno perso le loro case, i loro mezzi di sussistenza e i loro cari in questa catastrofe. Voglio fare qualcosa per aiutare in ogni modo possibile. Questo è il motivo per cui ho organizzato un concerto in live streaming per aiutare il Libano. Beirut ne ha passate tante e la resilienza e la forza del popolo libanese sono innegabili. Non ho dubbi che la città si riprenderà ancora una volta. Beirut è il luogo della mia nascita, è parte di me e sarà sempre nel mio cuore. ‘Io ❤️ Beirut’»
Parallelamente, l’evento “I Love Beirut” collabora con GoFundMe. Sul sito è stata lanciata una campagna in cui è possibile effettuare donazioni aggiuntive. I biglietti del concerto streaming, invece, possono essere acquistati tramite Ticketmaster da lunedì 24 agosto.
La lettera d’amore di Mika
Il giorno dopo i tragici eventi il cantante ha scritto una splendida lettera d’amore, carica di dolore e rammarico, certo, ma anche di speranza per il futuro. Una splendida iniziativa quella di Mika, che ancora una volta dimostra quanto il mondo della musica, e dell’arte, possa connettere le persone in un unico abbraccio. Con “I Love Beirut” possiamo sarà possibile aiutare il Libano a rialzarsi. Di seguito la lettera del cantante.
«Mia cara Beirut,
è mattina presto da questa parte del mar Mediterraneo, e mi sento al tempo stesso così vicino e così lontano da te. Così vicino a te, devastata dall’apocalisse, non riesco a smettere di guardare attonito i visi martoriati dei miei fratelli e delle mie sorelle. Nei loro occhi intravedo il terrore, le lacrime. Mi vengono i brividi quando vedo quel ferito riverso sul lunotto posteriore di una vecchia auto, quella ragazza coperta di sangue tra le braccia del padre, quegli abitanti sconvolti che corrono per le strade cosparse di calcinacci, vetri rotti, mobili inceneriti… Così lontano da te, in balia dell’apocalisse, non riesco a smettere di pensare al rumore assordante delle due esplosioni che continua a rimbombare nelle orecchie della gente. Le grida delle famiglie in lutto e delle vittime frastornate si confondono con le sirene spiegate delle ambulanze nel cuore della notte. Al telefono mi hanno raccontato anche del silenzio che regnava alle prime luci del giorno, dell’odore che si sprigionava dalle macerie fumanti.
Di fronte a questo caos, ripenso a una frase del poeta libanese Khalil Gibran: «Per arrivare all’alba non c’è altra via che la notte». Da mesi avevi imboccato di nuovo la via della notte. C’erano le divisioni, l’eco dei conflitti alle frontiere, la corruzione, l’impotenza di chi ti governava, la crisi monetaria che ha gettato le famiglie nella miseria, e poi l’epidemia di Covid sempre più virulenta. La leggerezza libanese, antidoto alle tragedie della storia, lasciava spazio alla rabbia e alla paura. Giorno dopo giorno l’angoscia mi saliva dentro, come se le tue ferite si riaprissero, come se le radici che ho lasciato all’età di un anno e mezzo mi riagguantassero.
E poi all’improvviso, martedì alle 18:10, una funesta nube grigia è salita dal porto, falcidiando un popolo allo stremo delle forze. Uno spesso fumo arancione ha offuscato il cielo di Beirut. Ha preso il posto del lontano ricordo, tante volte rievocato da mia madre, della luce gialla che inondava il nostro appartamento al quarto piano affacciato sul mare. Come non leggere in quelle due esplosioni il simbolo di un sistema che va in pezzi. Come non sentirci il frastuono delle bombe che seminavano morte per le tue strade ancora segnate dalle stigmate della guerra. Il Primo ministro libanese Hassan Diab assicura che i responsabili dovranno «risponderne». Ma i responsabili di chi? di cosa? I responsabili di trent’anni d’agonia che hanno trasformato il paese dei cedri nel paese delle ceneri.
Dicono che la catastrofe sia un tragico epilogo. L’ultima di una serie di disgrazie. Dopo la notte arriverà l’alba. Conosco la tua resilienza, la tua forza, lo spirito di solidarietà nutrito dall’amalgama di culture che contraddistingue questa terra a metà strada tra il mondo arabo e l’Europa. Domani ti risolleverai come hai sempre fatto. La musica tornerà a risuonare dalle finestre, i corpi danzeranno tra i tavoli all’aperto, i profumi si spanderanno dalle cucine. E io sarò lì»