“Così fan tutte” è il tentativo ben riuscito, e culturalmente interessante, di ravvivare un legame antico. Quello tra l’opera lirica e il teatro di prosa, che si è affievolito a partire dalla seconda metà del ‘900. La maggioranza dei grandi registi del secolo scorso masticava l’una e l’altra forma d’arte. Spesso hanno fuso i differenti linguaggi, le scenografie, la poesia della parola cantata. Oggi viene in mente Emma Dante, per restare in Italia. Ma non esondiamo. “Così fan tutte” gioca con l’opera mozartiana e il libretto di Lorenzo Da Ponte, shakerandola intelligentemente in una spassosa oretta. Un’operazione che richiede lo studio approfondito di una struttura musicale raffinata, oltre a un pizzico di sana follia.
Non è semplice condensare un dramma pieno di simmetrie, scambi di identità, sottigliezze psicologiche che distinguono i personaggi in profondità, sia pure entro la cornice comica. Che più propriamente, per alcuni, è tragicomica. Alcuni rischi: appiattire il contenuto in mero intrattenimento, fare overdose di cliché psicologici, ridicolizzare il registro sonoro. Ma la soluzione scelta da I Tre Barba, che appunto in scena sono solo in tre a fronte dell’affollato palco mozartiano, è semplice quanto geniale. Dovendo escludere ogni onerosa bizzarria scenografico-costumistica, scelgono l’ironica silhouette da gran gala, con smoking e papillon da far invidia alle più mondane apparizioni de I Tre Tenori.
Non è frequente riuscire a ridere così di gusto a teatro, conservando la percezione di una qualità formale elevata. Il genere del clown, che coprirebbe quella dicotomia, in Italia è in effetti bistrattato. Declassato a colorata apparizione circense o da arte di strada. Che poi non sarebbe un vero declassamento di genere, ma equivale a un sistematico allontanamento dai grandi cartelloni. “Così fan tutte” è in tal senso una mise-en-scène importante, coraggiosissima nel proporre linguaggi eterogenei.
“Così fan tutte” è il tentativo ben riuscito, e culturalmente interessante, di ravvivare un legame antico. Quello tra l’opera lirica e il teatro di prosa
I Tre Barba in “Così fan tutte” mescolano senza timori reverenziali repertori distanti e nobili: il teatro comico-cabarettistico con la musica neomelodica, la lirica col teatro dell’assurdo. Un esito che manifesta un lavoro attoriale sul testo – e sui corpi in scena – ammirabile.
Non privo di riferimenti, forse inconsci, alle grandi regie dell’opera mozartiana, che spesso hanno articolato su vari livelli le simmetrie insite nel libretto. Le due sorelle, Fiordiligi e Dorabella, sono ingannate e sedotte dai loro rispettivi amanti, Guglielmo e Ferrando. Questi imbastiscono il gioco a parti inverse e buffonescamente en travesti. I Tre Barba riscrivono la geometria dell’opera muovendosi su una partitura a tre. Lorenzo De Liberato e Lorenzo Garufo fanno le parti di Ferrando e Dorabella e Guglielmo e Fiordiligi, scambiandosi poi i panni nell’interpretare anche gli ufficiali albanesi che mettono alla prova l’amore delle due sorelle. Alessio Esposito sta al centro, figurativamente fa da perno e raccoglie i ruoli intermediari del libretto: Don Alfonso, la cameriera Despina e i loro travestimenti.
Ma poiché si tratta di un’evocazione lirica, non può mancare la musica. Affidata al divertentissimo cantare – peraltro ben intonato – dei tre in scena, senza alcuna colonna sonora. I temi musicali fanno spesso eco alle note mozartiane, ora bofonchiate ora declamate in appassionati assoli. Oppure accompagnate dal battere di mani e piedi che con curiosa efficacia colgono i leitmotiv militareschi. Tra le tracce cantate non possono mancare le irruzioni neomelodiche, tutte da ridere ma sempre a tema e a servizio del commento, fra l’ironico e il grottesco, al sentimento di turno. “Così fan tutte” è insomma un esperimento felicissimo su un format innovativo, che riporta all’attenzione un patrimonio irrinunciabile senza vezzi tradizionalistici o timori reverenziali. Giocando seriamente, come si dovrebbe sempre fare quando si vuol far ridere con (l’)arte.