Hanno da poco festeggiato 25 anni di carriera artistica, consumata sui palchi di tutta Europa. Ieri sera, 6 luglio, la Bandabardò hanno fatto tappa anche a “Villa Ada – Roma incontra il mondo”. Un quarto di secolo che la band ci ha fatto vivere, sentire, sudare. Non è stato previsto nessun gruppo a introdurli sul palco grande. Nessun’altro ha scaldato l’atmosfera. La Bandabardò coglie il pubblico freddo nell’attesa. Va bene che l’estate sia rovente, ma è degli spiriti che stiamo parlando. Se non è stato sufficiente il loro ingresso con le magliette bourdeux dei Ragazzi del Cinema America, le poche parole di Erriquez hanno fatto il resto. Brividi e pelle d’oca. Gli appuntamenti di “Villa Ada – Roma incontra il mondo” si stanno dimostrando partigiani, appassionati e schierati, sostenendo una concezione dell’arte non neutra. Nessuno è tentato di ritrarsi dal sostenere una posizione politica che sia sempre anche umana.
Probabilmente non c’è genere migliore del folk per riavvicinarsi con rispetto alle radici ataviche dell’uomo, all’energia che brucia senza consumarsi. Il folk della Bandabardò è estremamente prezioso per una composizione in grado di rigenerarsi di concerto in concerto. Hanno fatto esplodere il rock di protesta e contestazione che con sonorità graffianti contagia le liriche. È meraviglioso constatare che gli ascoltatori ieri sera non avevano età. Almeno tre generazioni diverse erano riunite sotto il palco a ballare, a saltare, a cantare. Di rimando non si sono fatti pregare per rimanere il più possibile sul palco con il pubblico.
La Bandabardò non canta facili emozioni né sogni ingenui.
Danno una voce alla giustizia con “Fine delle danze”, alla contestazione del potere con “Sette sono i re” e “Manifesto”. Hanno dato voce alle differenze speciali con “Estate paziente” e all’amore passionale con “Ubriaco canta amore”. Non sono mancati credits ad altri artisti. Un tributo a Roma, grazie a “Cohiba” di Daniele Silvestri, e uno a Milano di cui hanno scelto l’autore Enzo Jannacci, con la sua “Bobo merenda”. Hanno portato le sonorità del folk in giro per l’Italia. Nord e Centro si incontrano nell’afflato internazionale della band.
Da “Filastrocca 2” in apertura a “Se mi rilasso collasso” in chiusura la Bandabardò ha esibito sul palco quell’esperienza che fa la differenza tra la musica semplicemente eseguita e quella suonata perché vissuta. Ogni traccia è stata indurita e incupita da quella vena rock che se da un lato costringe il pubblico a una danza indiavolata, dall’altro lascia come residui una malinconia che non va più via. È inevitabile quando su strofe ballabili vengono scritte liriche che trasudano impegno politico. La malinconia, dunque, non deve essere vista come un’emozione negativa, perché è contornata dall’esperienza piena che la Bandabardò ci ha restituito in circa due ore di concerto, momento altissimo di condivisione.