Ciao Ilaria, benvenuta su Music.it. Per iniziare rompiamo il ghiaccio con un piccolo aneddoto, un ricordo magari imbarazzante o particolare legato alla scrittura di un brano dell’album.
Guarda ci fu una cosa che mi fece sorridere molto, successa sia in sede di prova che in sala registrazione. Ovvero comunicare al batterista la velocità di “Se nascevo femmina” e vederlo impazzire perché proprio fisicamente non riusciva a stargli dietro all’inizio.
In effetti è molto veloce come brano.
SI, è veloce ma soprattutto molto piena come groove di batteria. Quindi lo vedevo che ogni volta che finiva il pezzo era stremato dalla fatica e grondava sudore (ride). Noi ci divertiamo a mettergli poi in scaletta subito dopo “Bambombeeto”. Anche quella è molto piena e lui praticamente impazziva.
Facciamo un passo indietro prima di arrivare all’album. Parlami di come nasce la passione per la musica di Ilaria Viola.
La prima volta che ho preso in mano uno strumento fu a circa 11 anni, e fu una chitarra. Mio padre era un grande appassionato di musica, un giorno venne da me con un disco e mi disse: «Tieni, ora prendi la chitarra e lo devi risuonare». Il disco era “Due Parole” di Carmen Consoli. Mi piacque molto e da li iniziai a tirare giù i primi accordi da sola, ma ancora non studiavo musica.
Quando hai iniziato con il vero e proprio studio invece?
Intorno ai 16 anni. Smisi atletica leggera e non sapevo cosa fare, tutti mi dicevano che avevo una bella voce e quindi ho iniziato a studiare, ma nacque tutto come un gioco. Essendo però io molto disciplinata ho preso lo studio subito seriamente, e già dopo tre anni mi sono ritrovata con un bagaglio musicale importante. Da li sono andata all’università e scegliendo una materia che fosse legata alla musica. Ho continuato fino a 23 anni studiando la fonia, il pianoforte complementare e tutto quello che mi sarebbe servito per insegnare. Poi sono entrata in conservatorio.
Durante tutto questo percorso quali sono state le tue attinenze con la musica?
Guarda, io sono passata per tutti i generi. Quando ero pischella facevo sai, come dire… Insomma io ho fatto la corista per Rita Pavone (ride), siamo a questi livelli qua. Scherzi a parte, la musica l’ho sempre ascoltata tutta perché per merito di mio padre ho una discografia importante a casa. A seconda del periodo e della mia età andavo in fissa con le cose più disparate. Partendo dalla musica leggera per passare al rock e al blues. Led Zeppelin, Deep Purlple che sono cose che bene o male ti propinano a scuola quando studi. Sono passata per il progressive, per un periodo sono stata davvero in fissa con il Banco Del Mutuo Soccorso. Poi mi sono avvicinata al cantaurtorato jazzistico italiano, ad esempio Peppe Servillo, Ivano Fossati… Mamma mia a livello compsitivo Ivano Fossati m’ha sventrato il cervello. È davvero bello sia da studiare che da ascoltare, è stato uno di quelli che a livello compositivo mi ha influenzato moltissimo.
Non ti nego che nell’album questo background si sente tutto, sia a livello compositivo che a livello vocale
È strano anche a livello vocale come percorso. La cosa che mi piaceva di più in assoluto fino 22 anni era cantare il rock, il grunge. Parliamo di Skunk Anansie, Chris Cornell, tutti questi cantanti belli ignorantonti. Poi invece quando sono passata a studiare jazz mi sono molto ammorbidita. Sicuramente a livello interpretativo anche Fiorella Mannoia è stata una bella influenza. Insomma, quando studi per forza vai verso o comunque tendi ad imitare chi ascolti.
Veniamo all’ultimo lavoro. Sono passati 5 anni ma ascoltando l’album va bene aspettare 5 anni per poter avere poi un lavoro di questa qualità. Ma a cosa è stato dovuto questo allontanamento dalla musica o comunque dalla scrittura?
Dici bene, proprio dalla musica. In primis ho lasciato l’insegnamento perché non ne potevo più, e non stavo facendo bene il mio lavoro. Credo sia un lavoro di responsabilità e sinceramente così nse poteva fa. Quindi sono andata a fare un lavoro che con la musica proprio non c’entrava assolutamente niente, perché ero in ambito gastronomico. Mi sono necessariamente staccata quindi anche dalla musica. Tutto questo succede subito dopo l’inizio della scrittura di quest’album. Succede che a un certo punto ti sembra che tutto ciò che scrivi sia anacronistico. Tutti ti dicono di tirar fuori te stessa, quello che senti, ma non ci riesci. Non è stata infatti solo una mia idea quella di mettermi in gioco in prima persona.
Raccontami di più.
Ricordo che Filippo Rea, un collaboratore di Lucio Leoni a un certo punto mi disse, ascoltando uno dei primi pezzi che non è nell’album, un pezzo manieristico, scritto in sette come se fosse il compitino a casa: «Hai rotto le palle, basta scontrarti con quello che tu vorresti vedere di te stessa, devi iniziare a dire la verità altrimenti non vai da nessuna parte». Da lì poi la rabbia infinita, sono diventata un fiume in piena.
Parlando proprio di “Se nascevo femmina”, è chiaro l’intento di eliminare tutte le etichette, di ogni genere, da questo album. Sembri essere riuscita nel tuo intento.
Mi piacerebbe dire che è stato fatto a posta ma in realtà non è così. Io scrivo senza strumento, quindi ci metto mano molto poco. Mi immagino la melodia nella mia mente e mi scrivo gli accordi. Poi quando vado al piano vedo se è possibile tirare fuori quello che ho fatto. È un po’ un arma a doppio taglio perché a volte il cervello va più veloce delle mani e non riesci a interpretarlo.
Per chi non ha ascoltato l’album, racconta “Se nascevo femmina” in poche parole.
Ma è difficile quest domanda! (Ride). Allora, sicuramente è un album autobiografico, racconta tutte le sensazioni che possono essere ricondotte a un filo logico, ovvero le difficoltà che una donna come me, anche più giovane o più anziana, può trovare in questa società. La contraddizione in termini di società, ad esempio con “Bamboombeto” dove prendo un esempio per parlare invece di ciò che accade in tutto il mondo. Ormai non ragioniamo più con il nostro cervello, e se è così siamo finiti. E tutto parte dal fatto che si sta distruggendo il sistema scolastico.
Sono perfettamente d’accordo, anche il fatto di non prendere seriamente materie come l’educazione civica o sessuale non è accettabile e si sente nel tuo disco.
Sì, infatti “Martini” proprio quello dice. Il sesso occasionale, vissuto nella mia maniera personale. Sembra che una persona che si trovi in una situazione del genere debba prenderla per forza in maniera superficiale. Invece prendere una cosa con leggerezza è molto diverso che prenderla con superficialità. Poi, a me personalmente non diverte proprio, insomma… Nun me piace. Ognuno è libero di prenderla come vuole in maniera più che soggettiva. È personale.
È stato il mio brano preferito, e ora ti faccio la domanda inversa. Quale è il brano a cui sei più legata nel tuo album?
È difficile, essendo tutto autobiografico è come se fossero tutti piccoli pezzi di me. Forse ti direi che sono più legata a “Bamboombeto” e “Per Mezz’ora” solo perché sono state le prime e hanno dato il via a tutto questo lavoro. Mi hanno letteralmente stappato, aprendo il vaso di Pandora.
Bene, c’è una cosa che forse io e te in questa conversazione non potremo notare perché siamo romani, ma altri sì. La romanità. In tutto l’album si palesa la tua romanità, sia come parlato che come suono. Quanto è importante per te questa appartenenza?
Tantissimo, ma proprio tanto tanto. Sono nata e cresciuta a Centocelle, e ora sono tornata a vivere a Centocelle. È ovvio che si sente tantissimo. Mia nonna era una di quelle proprio romane romane romane. Era una di quelle romane che parlava praticamente per frasi fatte. Ne aveva una per ogni cosa. E per forza quel modo di esprimerti ti entra dentro. Quindi la mia romanità è anche la mia spontaneità. Sai meglio di me che Roma la odi e la ami contemporaneamente. Fai il traffico, il raccordo, la tangenziale, poi ti si sbatte in faccia Castel Sant’Angelo, magari al tramonto e fai proprio “Va Beh”.
Concordo assolutamente. Veniamo alle domande a botta e risposta. In tutto il panorama mondiale, la canzone che non avresti mai voluto scrivere o cantare.
Che non vorrei mai cantare, sicuramente “Love on Top” di Beyoncè, ma semplicemente perché è davvero molto faticosa (ndr. non sono state le esatte parole, ma ho preferito alleggerire il gergo ruspante). Invece, non avrei mai voluto scrivere “Luca era Gay” di Povia.
Quella che invece avresti voluto scrivere tu.
Sicuramente “Carte da decifrare” di Ivano Fossati.
Ok, siamo quasi alla fine. Tour in programma? Concerti? Dove possiamo venirti ad ascoltare?
La presentazione del disco sarà il primo luglio al Na cosetta e per il momento c’è solo questa. Poi sicuramente quest’anno faremo diverse aperture che stiamo ancora stabilendo, mentre il tour partirà a settembre o ottobre per via di alucuni ritardi con l’uscita del disco
OK, per me è stato un piacere scambiare due chiacchiere con te. Ti lascio carta bianca per fare saluti, ringraziamenti, o mandare a quel paese qualcuno. A te la parola.
Sicuramente devo ringraziare Lucio Leoni che è il mio direttore artistico, senza il quale non ci sarebbe mai stato questo disco. Giacomo Ancilotto con il quale ho arrangiato tutti i brani, un’esperienza fantastica e istruttiva. E ovviamente mia mamma senza a quale non avrei quest’animo così combattivo e battagliero sotto il punto di vista sociale.