Il cantautore Indigo & The Sirens.
Il cantautore Indigo & The Sirens.

INDIGO & THE SIRENS – “Sono la dimostrazione che si può essere outsider senza essere perdente”

Diamo il bentornato a Indigo & The Sirens! Ci siamo sentiti l’ultima volta ad agosto. Cos’è cambiato in questi mesi?

Ciao! All’epoca avevo appena pubblicato il mio primo EP. Cosa è cambiato…? Solo un centinaio o un migliaio di cose. Tantissime persone hanno iniziato a sostenermi. Non mi sarei mai aspettato un successo simile.

Successo non solo di pubblico ma anche di critica: “The cult of youth” è stato apprezzato anche dagli addetti ai lavori!

La sorpresa più grande però è stata la viralità con cui la mia musica e i miei video si sono diffusi. Non avevo i mezzi per promuovere il lavoro: a certi livelli i costi sono esorbitanti. Chi l’ha ascoltato, l’ha anche condiviso, e in poco tempo ho raggiunto persone e paesi che non immaginavo neanche. Ora ho tantissimi sostenitori in Polonia, Brasile e Turchia!

Quali sono gli elementi che hanno fatto la differenza? Cosa ti distingue dagli altri emergenti?

In Italia penso tutto: genere, tematiche, immagine. A livello internazionale invece penso sia stato apprezzato il mio essere totalmente home-made. E penso che anche l’estetica che propongo, accostata al genere, abbia rappresentato un elemento di rottura. C’erano tante persone che aspettavano questo. A ogni modo, mi fermo anch’io spesso a chiedermi il perché di tanto sostegno. Conosco la formula di ciò che faccio, e so che è valida. Però non è detto che un format funzioni sempre, ed è sempre difficile prevedere la reazione di chi ascolta. Tanto dipende dal contesto e dal periodo. Comunque ho proposto ciò che volevo fare, e probabilmente non aver seguito logiche da major mi ha fatto entrare in contatto con un pubblico che apprezza proprio il mio essere libero e indipendente. Le persone che mi ascoltano non sono interessate alle label e al budget, ma solo alla musica e alle mie proposte. E non vedono differenze fra me e chi è spinto dalle case discografiche.

Ricevi molti feedback diretti dai fan? Ormai sono diventati una bella community, con tanto di fan-art!

Parlo con tutti, soprattutto con i messaggi privati su Facebook, che è il canale che è cresciuto di più. Mi arrivano messaggi bellissimi. Non parlo solo dei complimenti. Molti si sentono arrivati quando li ricevono. Mi capita di leggere messaggi che mi fanno capire che ho fatto bene qualcosa, e che il mio messaggio è arrivato e magari ha avuto un impatto sulla vita di una persona. Sono queste le cose che contano.
Proprio alcuni giorni fa ho condiviso un disegno stupendo. È stato bellissimo riceverlo! Aveva dettagli che richiamano il concept del nuovo EP. Il pubblico si sente coinvolto in questo progetto, e sta apprezzando tutto il pacchetto sonoro-visuale-testuale.
Ma posso chiederti una cosa? Non chiamiamoli fan.

Perché? Comunità di sostenitori va meglio…?

Così sembra una cosa politica! Non mi piace la parola fan, ho scelto di non usarla più. Suona male e mi fa sentire in colpa. Lo trovo un termine pretenzioso e quasi offensivo. Definire una persona “fan” ti mette su un piedistallo. Quando scrivo e faccio musica, o sono sul palco, mi piace sentirmi un dio. In qualche modo lo sono: sono il creatore del mio universo. Tutti quanti proviamo questa sensazione quando proponiamo i nostri lavori. Nella vita reale però non funziona così. Chi mi ascolta ha la mia età. Molte persone hanno anche il mio numero di telefono. C’è una ragazza sarda, Jessica, che ha portato avanti quella che in gergo viene definita fan-action, stampando e diffondendo volantini, girando con suo papà per promuovermi. Non posso vederla come una persona che ha qualcosa in meno di me.

Sei rimasto umile. È una cosa molta positiva. Molti perdono la testa facilmente.

Penso che rimarrò sempre umile. Forse lo devo alle mie origini. Sai, una mia amica dice sempre “umile, ma non modesto”. Penso mi rappresenti bene. Bisogna prendere coscienza dei propri punti di forza senza montarsi la testa. E poi l’umiltà è una cosa istintiva, che non può essere venduta o brandizzata. È un modo di agire naturale. Quando ho davanti qualcuno, non penso a strategie che possano farmi apparire diverso da ciò che sono. Potrei pormi problemi come “Se commento sembro troppo disponibile, se non rispondo do l’impressione di tirarmela”. Se faccio una cosa è perché mi va. Più che altro cerco di non rispondere ai commenti d’odio.

Ce ne sono stati tanti?

In realtà no. Anche se c’è stata una cascata di odio durata una settimana, per via della fanbase di quello che potrebbe essere un cantante o un rapper – non ho mai ascoltato la sua musica e non intendo nominarlo. Mi hanno accusato di aver plagiato la sua estetica. Anche lui usa cartoni animati vintage per i suoi video. Il karma ha voluto che utilizzasse lo stesso corto di Mickey Mouse che ho utilizzato per promuovere “Ghost in the sheets”, ben quattro mesi dopo l’uscita del mio video, che all’epoca è diventato virale. Le date sono visibili a tutti, eppure qualcuno ancora commenta negativamente accusando me.

Pensi che sia stato intenzionale? O semplicemente avete le stesse influenze?

Se c’è qualcuno a cui mi sono ispirato, è Lana del Rey. Con lei ho capito di poter fare video stando a casa, utilizzando immagini a cui dare nuovi significati e sfumature. Sicuramente non mi sono ispirato a lui! Da quello che ho capito, pure questo artista si rifà all’esoterismo, e ha una vena piuttosto dark. Io mi considero più noir, ma l’esoterismo è una chiave importante per interpretare i miei lavori, ed è inevitabile avere riferimenti in comune. Musicalmente, a livello di testi e musica, non abbiamo nulla da spartire. Mi viene difficile pensare ad artisti che facciano il mio stesso tipo di musica, soprattutto con il mio modo di presentarmi. A ogni modo, non capisco tutto questo odio, e ho deciso di non rispondere a quei commenti. Non capisco quegli artisti che rispondono solo ai commenti degli hater, mentre chi li segue si dispera per avere un po’ di attenzione. Dico io: se hai tempo per rispondere a tante negatività, dovresti trovarlo anche per comunicare con chi porta positività nei tuoi spazi. Cerco di ignorare i commenti d’odio, e a volte li cancello pure. Non si tratta di censurare chi vuole esprimersi o limitare la democrazia sui social. Semplicemente non c’entrano nulla con me e con ciò che voglio comunicare.

Sicuramente non contribuiscono a mantenere un clima sereno, fertile per l’arte.

Esatto! Ho notato questo: molta gente non ha carattere. Non è una colpa. Ognuno ha i suo tempi, e molti arrivano a svilupparne uno molto tardi, o a volte mai. Se una persona del genere legge o ascolta determinati pensieri molto negativi e deleteri per l’attività di un artista, si convince che corrispondano alla verità. Quando i commenti sono troppi, si delinea una rotta, e inevitabilmente molti la seguono. Non voglio che la mia rotta porti a un naufragio. Io invito le persone a riflettere con la propria testa.
Anche il concetto di setta, legato al mio primo EP è stato frainteso.

In che modo?

Aveva un fine quasi satirico. Ho pubblicato video che sono stati interpretati in negativo, con messaggi nascosti che recitavano “Vendi la tua anima a Indigo & The Sirens“. Ho interpretato il ruolo del cult leader solo per far capire alla gente quanto sia diventato facile diventare parte di una setta nel mondo moderno: siamo circondati da gruppi sociali, da cricche, sia reali che digitali. Io non ho mai fatto parte di una cricca, e forse sono la dimostrazione che si può essere outsider senza essere un perdente.

Da outsider a capo-setta, il passo è lungo.

Quando crei un lavoro che è solo tuo, e non ti concentri su ciò che è stato fatto da altri, è inevitabile diventare il capo di quella realtà. Io invito le persone a fare questo, non a vivere in funzione di qualcun altro. Non è il mio scopo e non cambierà in futuro. Fortunatamente questo concetto è stato capito da tanti, e ho trovato stupendo che ci fossero persone affascinate da questo tema. Non sono il tipo che spiega le sue intenzioni e il significato di ogni pezzo. Ci tengo al mistero.

Come vivi questo ruolo di leader? Ti senti in qualche modo responsabile dei contenuti che pubblichi o non hai filtri sulle modalità espressive?

Bella domanda! Ci sono un sacco di persone che pensano in funzione del proprio pubblico prima di agire, e cambiano di conseguenza. Penso sia uno dei comportamenti che stanno distruggendo il mondo della musica. Ad esempio, chi fa X-Factor e deve comunicare con i telespettatori, presenta un prodotto fatto apposta per quel target pur di avere successo. La mia idea, fin dagli esordi, è stata quella di non cercare di fare gola a chiunque o cercare di intercettare ascolti fra un pubblico che non mi appartiene. Mi sono presentato esattamente come sono, facendo quello che mi piaceva, e ho incontrato persone che mi hanno apprezzato. Certo, forse fra un anno sarò diverso, come ero diverso un anno fa: non sopporterei ripetermi e rimanere uguale nel tempo. Mi evolverò, e mi esprimerò diversamente. Il cambiamento potrebbe non piacere a chi mi segue da tanto. Finora però i numeri sono sempre aumentati. Quando i primi video sono diventati virali è stato uno shock. Inizialmente mi scrivevano in cinque. Cinque sono diventati dieci, dieci sono diventati cento, cento sono diventanti mille.

Il 14 febbraio hai fatto un regalo alle persone che ti seguono: “One night stand (for Max)”.

Ho iniziato a scrivere il mio EP a 17 anni, e ci ho lavorato per quasi tre anni. “One night stand (for Max)” invece è stata concepita in maniera totalmente differente: è nata a gennaio e un mese dopo era disponibile per tutti. L’ho scritta di getto. Generalmente mi ispiro molto alle persone e alle situazioni che vivo, ma i testi sono sulle persone e non rivolti a loro. In questo caso volevo proprio comunicare con quella persona, che doveva ascoltare questo brano per capire cosa provavo in quel momento. Ora non riesco neanche a schiacciare play. Non lo sento come un mio pezzo. Non sono mai uscito dallo studio dopo la registrazione del primo EP, e ho continuato a lavorare per il suo seguito. “One night stand (for Max)” però non richiama le sonorità di niente che abbia fatto prima o che vi farò sentire a breve. È stato difficile anche dargli una collocazione. È un figlio non voluto. Inizialmente non volevo neanche pubblicarlo, ma poi ho realizzato che avrebbe potuto aiutare altre persone nella mia situazione. Anche perché per la prima volta non ho parlato di spiritualità o di storie particolari. Diciamo che è un pezzo con i piedi per terra. Però è stato accolto molto bene e mi ha dato tante soddisfazioni. È finito anche in tante playlist autorevoli di Spotify! E poi mi ha permesso di lavorare con un nuova persona per il mastering, ovvero Chris Gehringer.

Che, ricordiamolo, oltre ad aver portato a casa tanti premi e nomination del calibro dei Grammy, ha lavorato con nomi di serie A della scena musicale: Yoko Ono, Rihanna, Twenty One Pilots, Lady Gaga, Cee Lo Green, Alien Ant Farm, Jay-Z, tanto per citarne alcuni. Com’è nata questa collaborazione?

Molti dischi che ho ascoltato li ha masterizzati lui! Il mastering ha un ruolo fondamentale per la buona riuscita di un pezzo, per quanto sia il passaggio finale e spesso sottovalutato. Conoscevo lo Sterling Sound da un po’ di tempo grazie a Robin Marchetti, il mio produttore, che aveva già collaborato con questo studio (con sede a New York, ndR). Se sei un nerd della musica, conosci per forza il nome di Chris Gehringer, e appena si è presentata l’occasione di lavorarci insieme, l’ho colta subito. Inoltre la collaborazione non è ancora finita: c’è il suo zampino anche in “Gallows”, il mio nuovo singolo.

Cosa dobbiamo aspettarci da questa nuova fase?

Stavo lavorando al mio album di debutto, ma un viaggio a Parigi mi ha fatto cambiare totalmente rotta e mi ha fatto concepire una nuova idea, che si concretizzerà nel mio secondo EP, “Gardens”, in uscita quest’anno, più o meno nello stesso periodo in cui ho fatto uscire “The cult of youth”. La nuova era sarà caratterizzata da una bicromia: rosso e ultravioletto definiranno le due personalità di questo lavoro. I pezzi sono i miei strange flowers, i miei fiori inusuali, alcuni di un colore, alcuni dell’altro. Per quanto riguarda l’estetica, al mio fianco ho avuto come sempre Marianna Spinelli, che è al mio fianco dagli esordi, dal primo singolo in free download.

Ad aprire questa era, dicevamo, ci sarà “Gallows”, in uscita domani. Ci puoi dare qualche anticipazione?

“Gallows” è un pezzo rosso, il primo fiore che sboccerà, e lo farà 18 giorni prima della Flower Moon, la luna piena di maggio, importantissima per le religioni collegate ai culti lunari. È la luna di rinascita, che introduce la stagione in cui i fiori cambiano forma e gli esseri umani cambiano pelle. Penso che far uscire il singolo in questo momento della primavera influenzerà anche il modo in cui il pubblico lo recepirà. Io stesso sono particolarmente sensibile alle fasi lunari. Non ci rifletto molto, ma spesso noto che le cose vanno in un determinato modo a seconda dell’umore della luna. Inoltre il pezzo uscirà subito dopo il 9 maggio, che è il mio compleanno.

Sarà la tua ennesima rinascita, insomma.

Assolutamente! È una costante dei miei pezzi: in ogni brano si muore un po’ ogni volta. Anche se alcune canzoni sono collegate. “Gallows” infatti sarà il secondo capitolo di “Witch Hunter”, sarà la sua sorella più cattiva.

Dobbiamo aspettarci sonorità rock?

Ci saranno accenni di sonorità soft rock. La cosa bella di questo pezzo è che manterrà l’atmosfera di “Witch Hunter”, ma conterrà contaminazioni davvero particolari. Da una parte sensazioni sci-fi in pieno stile “The twilight zone” (meglio nota in Italia come “Ai confini della realtà”, celebre serie antologica fantascientifica degli anni ’60, ndR), dall’altra sonorità neomelodiche. Ho fatto ascoltare il pezzo a un po’ di persone fidate, e sono tutti rimasti scioccati. I miei amici del Sud hanno riconosciuto subito le ispirazioni, e ci hanno messo un po’ a metabolizzarle. Ma poi mi hanno fatto i complimenti. A ogni modo si tratta del pezzo più dark dell’EP. A differenze di quello che ho fatto con “The cult of youth”, che affondava nel buio e ci rimaneva, “Gardens” sarà un percorso che dalle tenebre porterà alla scoperta della luce e dei colori. E voglio iniziare proprio col rosso, che sembra voler dire “guardami” e, in questo caso, “ascoltami”. Sarà bello vedere le reazioni di chi mi ha conosciuto con il lavoro precedente.

Contemporaneamente è iniziata anche una nuova avventura, quella della Black Trident.

Ho da poco aperto quest’etichetta insieme a Creezy, e pubblicheremo i nostri lavori e quelli delle persone in cui crediamo sotto il nome di Black Trident. Abbiamo deciso di sfruttare le conoscenze acquisite nel campo e metterle al servizio delle nostre carriere e aiutare anche altri artisti. Non ho mai avuto interesse ad avere un contratto con una casa discografica: se posso lavorare senza sottostare alle condizioni di altri, è meglio. L’etichetta è nata per questo.

Come ci si sente a stare dall’altra parte?

Ci sono sempre stato alla fine. Siamo un collettivo molto particolare: non ci sono vecchi discografici che ti dicono come far funzionare le cose, come fare gola ai giovani e cose simili. Non abbiamo quest’impronta e non vogliamo assolutamente averla. Oltre a me e Creezy, abbiamo coinvolto Aradia Morrigan, e in futuro sicuramente cresceremo.

A proposito di Aradia Morrigan: avete da poco fatto uscire il suo primo EP.

Io e lei ci lavoriamo da quattro anni. Nel tempo abbiamo creato, distrutto e ricreato tutto, pur rimanendo fedeli al mood che avevamo scelto. Lavorare per un altro artista è molto diverso da lavorare per se stessi. Quando lavori per te, segui l’istinto, non hai bisogno di pensare troppo per creare qualcosa. È un procedimento organico. Quando lavori per altri devi prima entrare in contatto con te stesso, e poi immedesimarti nell’altra persona, cercando di capire la sua unicità e ciò che vuole raccontare. È stata una bella soddisfazione far vedere la luce a “Voices from the other side”.

Tornando a te, mi giungono voci di un tour…

Come lo sai? Non posso sbilanciarmi troppo ora, ma c’è la seria intenzione di fare un tour europeo in autunno. Al mio fianco ci sarà proprio Aradia Morrigan e altri tre o quattro opening act. Gli spettacoli saranno molto intimi. La scelta è ricaduta su venue piccole soprattutto per coinvolgere il più possibile il pubblico. Oltre al tour mi piacerebbe organizzare date estive in giro per l’Italia, per raggiungere tutte quelle persone che mi sostengono. Ho molti fan in Lazio e in Sardegna, altri vivono al Sud. Avendo vissuto quella realtà, capisco quanto sia difficile abitare dove la musica non arriva e tutti i concerti sono a Milano! Io voglio includere tutti.

Grazie a Indigo & The Sirens per essere stato con noi. Ci rivediamo domani, il 10 maggio, allora!

Grazie a voi. Assolutamente sì! Non vedo l’ora di farvi ascoltare “Gallows”!

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