EMIAN: "Abbiamo la sensazione che siano i racconti stessi a chiamarci" • MUSIC.IT
Gli Emian ritratti da Pellegrino Tarantino.
Gli Emian ritratti da Pellegrino Tarantino.

EMIAN: “Abbiamo come la sensazione che siano i racconti stessi a chiamarci”

Benvenuti Emian! Aiutiamo i lettori di Music.it a conoscere meglio voi e il vostro mondo musicale raccontando un particolare evento che vi è capitato. Chissà, magari sarà di ispirazione per qualche ballata folkloristica!

Martino: Quando siamo stati in Francia abbiamo vissuto un momento decisamente imbarazzante. Alloggiavamo in un appartamento del quale è meglio dimenticare i dettagli, per pudore. Mentre prendevamo sonno, improvvisamente abbiamo sentito un “aaah“, forse proveniente dall’appartamento davanti al nostro. Dopo due minuti si è ripetuto il gemito, più forte del precedente. Io e Anna eravamo gli unici svegli in quel momento e siamo rimasti un po’ perplessi, anche perché poi è sopraggiunto un rumore, ripetuto e inconfondibile, che lasciava intendere l’atto che si stava consumando. È stato interessante però scoprire che le donne francesi si lasciano prendere dal piacere con cadenza fissa di due minuti. Poco dopo si è svegliato Emilio, chiedendo cosa stesse succedendo. Dopo una decina di minuti e mentre ci stavamo addormentando, hanno ricominciato con la stessa cadenza temporale.

Beh, almeno speriamo si siano divertiti.

Anna: Un’esperienza simile l’abbiamo vissuta in piazza a Viterbo alle tre del pomeriggio. Piazza vuota, ma da lontano arrivavano gemiti molto accentuati. Ci perseguitano ovunque andiamo!

M: Evidentemente la nostra presenza ispira la gente a procreare. Forse è nato anche qualche figlio.

Emilio: Oppure quella sera dopo il concerto al Traffic. Ci trovavamo nel parcheggio esterno e abbiamo visto una macchina andare in retromarcia e prendere in pieno una parcheggiata. I ragazzi che si trovavano all’interno si sono affacciati dai finestrini per salutarci calorosamente e ringraziarci, per poi andare via. Sono stati davvero molto carini. Peccato che la macchina parcheggiata su cui avevano cercato di schiantarsi fosse la mia.

Sebbene la vostra musica si annidi in tutto il mondo facendo riemergere antiche storie, spesso non è facile venire a contatto con il genere. Cosa consigliereste di ascoltare per muovere i primi passi?

E: Una buona idea può essere partire dalla musica popolare del luogo in cui si vive, venendo a contatto con la cultura locale, per poi spaziare a livello nazionale e curiosare qui e lì. L’importante è fare attenzione a non “chiudersi” troppo tra i confini del proprio paese, andando a perdere il reale significato delle storie che esso racconta.

Anna?

A: A conferma di questo possiamo citare la taranta, nata da un rito ancestrale che serviva a liberare la gente dal malumore accumulato dalla monotonia obbligata di tutti i giorni, per esempio stando sempre a casa o andando esclusivamente a lavorare. Oggi è tutta facciata. Si indossa la gonna, si mettono le castagnette e si balla, senza neanche sapere cosa ci sia dietro a quei passi.
Un consiglio che voglio dare a chi vuole avvicinarsi al genere Pagan Folk è di ascoltare gli Omnia, facilmente identificabili come i pionieri del genere. Altri nomi importanti e utili sono i Faun, i Wardruna e i Daemonia Nymphe. Poi certo, bisogna sempre vedere a quale genere ci si interessa e appassiona di più. Per esempio, per avvicinarsi alla musica celtica irlandese sarebbe doveroso partire dai The Chieftains, dei veri capisaldi che raccontano storie da generazioni e generazioni in maniera eccelsa.

Martino?

M: I De Dannan, invece, negli anni ’70 hanno portato una sorta di rinnovamento e riscoperta nella musica irlandese, portandola più vicino a un clima moderno.

Danilo: Può sembrare una stupidaggine, ma Spotify può tornare molto utile. Cercando, ad esempio, una playlist pagan folk è possibile interfacciarsi con diversi artisti del genere. Ovviamente sì può rischiare di trovare brani che non c’entrano nulla, ma facendo attenzione si possono ottenere risultati interessanti.

Tocca a te Emilio.

E: Abbiamo tutti quanti un enorme debito nei confronti di persone come Alan Lomax, Ernesto de Martino e tanti altri etnomusicologi e ricercatori. Se non fosse stato per loro, che andavano casa per casa, nazione per nazione, registrando i canti delle persone anziane o di chi conosceva il canto popolare, a noi probabilmente non sarebbe arrivato niente. Subito dopo la seconda guerra mondiale, quando hanno iniziato a insegnare l’italiano come lingua nazionale, mentre i dialetti venivano messi in secondo piano e denigrati perché facevano parte di un retaggio volgare e incolto, è successo il peggio. Tante cose sono andate perdute. In Molise solo recentemente è stata riscoperta la zampogna, prettamente per fare business, quando in realtà è uno strumento apparso subito dopo la guerra. Anche nel bergamasco cornamusa e zampogna sono sempre esistite, ma a livello di tradizione è rimasto veramente poco. La notte di Natale si può ascoltare un classico “Tu scendi dalle stelle”, ma tutto il repertorio dei canti pastorali non esiste più.

Gli strumenti che utilizzate variano molto: strumenti a corda, fiato e percussioni non proprio di facile reperibilità, immagino. Alcuni di questi li costruite voi stessi. Dove ve li procurate? Avete un  mastro di fiducia per la manutenzione?

E: Un tasto molto dolente. Io mi sono affidato al liutaio Sergio Verna per quanto riguarda la nyckelharpa e la ghironda; se c’è qualche problema mi rivolgo a lui. L’unico dramma è che abita in Piemonte, distante molti chilometri da dove vivo, e sono costretto a spedirla. La maggior parte di questi strumenti antichi arriva quasi sempre da raffigurazioni. Affreschi per quanto riguarda la parte medievale, oppure trattati sulla liuteria tramandati nel corso dei secoli. Qualsiasi liutaio che si occupa di strumenti particolari, andando contro i propri interessi, consiglia di prendere lo strumento, imparare e suonarlo e soprattutto imparare ad aggiustarlo. Ognuno di noi, nel caso avessimo problemi con determinate corde, ponti e quant’altro, deve sapere dove mettere le mani e riuscire a trovare una soluzione. È buona cosa essere un po’ musicista e un po’ artigiani. Anche per questo mi è nata la passione verso la costruzione da zero, così da riuscire a capire il funzionamento e svincolarmi dal bisogno di rivolgermi ad altri.

Il vostro ultimo album “Khymeia” prende il nome dalla parola che significava chimica. La vostra musica è un miscuglio ─ chimicamente inteso ─ di generi, tradizioni e lingue. Avete trovato l’equilibrio perfetto con le vostre contaminazioni? Siete riusciti a creare la vostra pietra filosofale?

M: La maggior parte del lavoro spetta all’ascoltatore. All’estero viene percepita una particolare vena italiana, che penso derivi dall’impronta e l’influenza data dalla musica popolare nostrana. Dalle ultime prove stiamo prendendo una via un po’ più decisa e personale, che trascende “Khymeia” stesso.

A: Quello che abbiamo dovuto fare è stato creare e usare un nostro linguaggio, che collega tutti i nostri lavori. Se volessimo suonare esclusivamente musica irlandese di certo ci troveremmo davanti a molte difficoltà, perché non sapremmo mai replicare perfettamente quella tipologia di espressione che non ci appartiene. A maggior ragione questo nostro duro lavoro sarà davvero nostro.

E: Come diceva Martino stiamo approfondendo molto la questione. In Italia spesso ci dicono che assomigliamo a altri gruppi più conosciuti a livello mondiale. All’estero questo discorso non esiste, ci hanno sempre identificato come Emian e basta. Essendo pagan folk il genere, nelle ultime prove stiamo cercando di accentuare e perfezionare quanto di più pagano esista nel nostro territorio. Abbiamo inserito gli aulos e la lira, derivanti da popolazioni che hanno invaso l’Italia nel corso dei secoli, portando con sé le loro culture e tradizioni. Vogliamo utilizzare particolari linguaggi presi dalle popolazioni proto-italiche. Scriveremo sempre qualche intermezzo di musica popolare, ma quello che stiamo cercando di fare, come già avvenuto in “Khymeia”, è di creare ciò che ci faccia riconoscere all’estero come quel preciso gruppo che arriva da quella precisa zona. Molto importanti sono i diversi percorsi musicali che abbiamo seguito durante la nostra crescita. Tutto ciò che è Emian proviene dall’unione di tutte le singolari peculiarità che ci identificano.

Il brano “Mephite” parla di una delle prime figure femminili venerate nelle vostre zone, mentre altri provengono dalla Svezia e dall’Egitto. Insomma vi ispirate a diversi miti e racconti. Come procedete per la scelta delle leggende di cui parlare?

A: Abbiamo come la sensazione che siano i racconti stessi a chiamarci. Quando qualcuno mi narra una storia, e questa mi affascina, vado autonomamente a ricercarne i dettagli. Una volta interiorizzata nella sua totalità si cerca di estrapolarne un episodio che verrà raccontato musicalmente.

E: Gli ultimi brani scritti sono nati puramente per caso. Un amico ci ha portato a fare una scampagnata in un posto particolare dell’Irpinia, una campagna con diversi megaliti. La storia che racconta questo luogo parla di un orco che divorava tutte le persone della zona, fino a che un pastore decise di sfidare la creatura e sconfiggerla. La storia nasconde però un brutto episodio. Il pastore, seguito dalla moglie, la incitò alla fuga, ma scappando nel bosco venne sbranata dai lupi. Quando il pastore trovò il suo cadavere tornò nel luogo del conflitto per lasciarsi morire su una pietra, diventando lui stesso di pietra, e quindi un megalite.

Ci avete fatto intendere che avrete ben presto nuove ballate e racconti da proporre. Possiamo avere qualche altra anticipazione?

D: Quello che possiamo dire è che alcuni brani inediti che suoniamo durante i nostri concerti saranno presenti all’interno del nuovo disco, ma non possiamo ancora rivelare una data per l’uscita. Noi stessi non la conosciamo ancora. Sicuramente potrete continuare a ascoltare qualcosa di nuovo nei prossimi live.

Ringrazio gli Emian per averci permesso di toccare così da vicino importanti storie che mai dovrebbero andare perdute. Vi lascio l’occasione di aggiungere qualcosa, chissà che non diventi una ballata da salvaguardare per le generazioni che verranno.

A: Volemose bene!