La liturgia danzereccia di IFEEL2 esplora in chiave ascetica il rapporto io-tu
Marco Berrettini e Caroline Breton in “iFeel2”.
Marco Berrettini e Caroline Breton in “iFeel2”.

La liturgia danzereccia di IFEEL2 esplora in chiave ascetica il rapporto io-tu

Il palco del Teatro India è coperto da un tappetino di erba sintetica, su cui pendono globi fogliosi. Qualcosa è già iniziato, ce lo dice la musica che si avverte dal foyer. Marco Berrettini balla a torso nudo mentre il pubblico prende posto. Così “iFeel2” si autodenuncia prosecuzione di qualcos’altro. In effetti la ricerca coreografica di Berrettini annovera “iFeel”, presumibile antenato dell’opera in scena. Ma bisogna quel “2” leggere all’inglese, come “two” o “too”. “Io sento due”, oppure “sento anch’io”, a volersi lanciare nella detestabile arte di tradurre – o, peggio, traslitterare – i titoli. Oppure “ci sento doppio”, perché no. Tutte queste suggestioni contiene il titolo.

La scenografia edenica suggerisce il nucleo concettuale della performance. “iFeel2” è un’indagine sulla dualità come condizione non primaria, bensì conquistata. Viene in mente l’episodio della “Genesi”. Dopo Adamo venne Eva, dopo l’Uno viene il Due, così come Caroline Breton inizia a danzare solo a pubblico seduto. Il suo sembra un risveglio per forza di ipnosi, di una magia che promana dal movimento della controparte maschile. La trama propone un continuo procedere su binari paralleli: Marco Berrettini e Caroline Breton si muovono a passo specchiato, ma con movimenti del busto più liberi. Radicati in una terra da cui prendono il passo di danza, ma estesi in altezza verso la propria individualità. Così il volto diviene il punto più alto del cammino dell’identificazione. Negli sguardi si concentra un dialogo intenso attraverso cui sfumano sentimenti vari e contrastanti. Attesa, divertimento, curiosità, trattenuti in una coerenza semantica commovente.

La costruzione evoca la dimensione del rito: il ballare di Marco Berrettini e Caroline Breton ha un’aura sacrale.

L’intreccio scenografico-coreografico-musicale è coerente. Marco Berrettini riesce così a coinvolgere il pubblico, offrendo una coreografia anticlassica, tipica del suo linguaggio, fatta di movimenti semplici su una struttura a sei tempi. Il tappeto sonoro è una sintesi originale di elettronica, accentata con jungle e acid, che fa muovere a ritmo piedi e dita del pubblico. Si nota una ricerca approfondita ad ogni livello, anche nei testi del soundtrack, che tematizzano il rapporto uomo-natura. La costruzione evoca la dimensione del rito: il ballare di Marco Berrettini e Caroline Breton ha un’aura sacrale. Performativamente, ricorda qualcosa che non ricordavamo di ricordare. Come scavando nelle coscienze religiose o nel nostro inconscio collettivo, ci tira fuori immagini di danze ancestrali che vorremmo ballare anche noi. Il teatro è sempre catarsi; la danza è sempre inno alla vita.

“iFeel2” ci fa perdere nella contemplazione di un bosco vivente, fatto di corpi-alberi che si richiamano in relazioni che dal duale si schiudono nel molteplice. I globi di foglie reagiscono alla coreografia, cominciano a vibrare, come vitalizzati. All’improvviso da uno di questi nascono due piedi. Poi ne esce una creatura ibrida che termina in una cima frondosa. È l’immagine dell’uomo-albero, che attraversa tutte le culture. Così la formazione antropologica di Marco Berrettini si avverte, ma non aggrava il flusso con pesantezze retoriche. L’accatastarsi di simboli è paratattico, perché ogni corpo preserva un’identità: Marco Berrettini e Caroline Breton non accennano mai a istinti e gesti fusionali. L’insieme delle parti è pervaso di una compostezza tragica ma non malinconica.

“iFeel2” è una performance, ovvero un pezzo di mondo. Che però è metafora del mondo, ovvero del rapporto natura-artificio.

Presi dalla liturgia danzereccia, potremmo seguirla fino in fondo o tornare nel nostro io. Ma, se ci tornassimo, coglieremmo nel senso semplice e profondo il nostro essere qui. “iFeel2” si denuncerebbe come ciò che è: una performance, ovvero un pezzo di mondo, che però è metafora del mondo, ovvero del rapporto natura-artificio. Questa allusione cosmica è accentuata anche dall’impianto luci, un possente gruppo di fari che gravano con la massa unanime e intensa di un sole. Il senso della relazione io-tu è restituito in chiave ascetica. La coreografia è ricerca di vita, la vita è una circolare penetrazione tecnica per tornare al dato di natura. Sul finale la musica non si interrompe, accompagna gli applausi e l’uscita dalla sala. La danza continua.