CHI È LA BESTIA?: la musica ha reso CHARLES MANSON antieroe o assassino?
Il cast de "Chi è la bestia?"
Il cast de "Chi è la bestia?"

CHI È LA BESTIA?: la musica ha reso CHARLES MANSON antieroe o assassino?

Un prologo metricamente scandito dalla percussione della cassa armonica di una chitarra usata come bongo. Charles Manson non aveva la stoffa di Bob Dylan o di John Lennon. La musica non era di certo la strada maestra per passare alla storia. Carismatico e narcisista, non riuscì a fare un uso creativo delle regole che ordinano la convivenza civile. Magari sarebbe stato un ottimo critico d’arte, pronto a trovare punti d’incontro tra l’“Apocalisse”  i The Beatles. Accusa i suoi contemporanei di essere pessimi ascoltatori. Ma la musica dei suoi idoli fu inarrivabile per le sue capacità di compositore. Con la lucidità che spesso contraddistingue i visionari, Charles Manson non produsse un’opera d’arte. “Look at your love”, “The shadow of your smile” e “People say I’m no good”, sono tre canzoni composte dal serial killer che fanno parte della colonna sonora di “Chi è la bestia?”. Sono anche rese meglio dal performer.

Charles Manson scelse una strada terribile per passare alla storia

Anti-eroe, artista e politico insieme. Gli omicidi indotti dalla sua capacità suggestionante sarebbero diventati un monito per ricordare a certi privilegiati dell’esistenza degli ultimi. Per le sue capacità oratorie, in grado di aggirare persino gli psichiatri, avrebbe potuto puntare sul cinema. Lo ricordiamo perlopiù come si mostrava a un passo dalla morte, di novembre 2017, vecchio e imbruttito dal carcere e dalla malattia. “Mindhunter” e “C’era una volta a… Hollywood” è Damon Herriman a rappresentarlo. Bilotta fa una scelta completamente diversa rispetto a Tarantino. Rende visibile il carisma di Manson con la fulgente bellezza di David Capoccetti. Recuperando l’etimologia greca del teatro, che vede la vista come organo primario di fruizione del dramma, il regista sceglie di rendere epidermica l’attrattiva del serial killer di Cincinnati.

Corpo e voce di Charles Manson calcano il palco in senso metaforico e reale

L’identità del serial killer, sedicente artista e visionario in scena da metaforica si fa reale, nella ricostruzione della testimonianza delle testimoni chiave del processo. Ludovica Resta impersona sia Linda Casabian che Susan Atkins. Quest’ultima è caratterizzata in preda ad altalene emotive, tra momenti di esuberanza incontenibile e di indifferenza totale. «Charlie non poteva leggere i miei pensieri, lui era la mia mente». Questa è la spiegazione udita da Bugliosi, il pubblico ministero Gliela dà direttamente Sadie, nomignolo con cui Charles Manson era solito chiamare Susan. Spogliata del suo stesso nome, anche i tempi della respirazione sono non sono gestiti in autonomia. Lei è “Sexy Sadie”, che prima o poi si apparterrà. E se è Charlie a cantarglielo, deve essere vero! Risulta vagamente stucchevole la vocalizzazione bambinesca che accompagna l’interpretazione della Resta.

Bilotta sembra abbia disegnato una linea di cesura tra le interpretazioni dei personaggi

La caratterizzazione di Manson e Susan Atkins prende una direzione molto diversa rispetto a quella di Linda Casabian e Walter Bugliosi, quasi ingessato nella severità con cui lo restituisce Alberto Brichetto. La moltitudine che ha abitato lo spirito del protagonista cerca di tornare sul palco attraverso una rappresentazione caleidoscopica. C’è stato un lavoro attoriale molto serio da parte di Capoccetti sul personaggio, che cambia forma, postura e atteggiamenti a seconda di chi lo guardi, dalla scena o dalla platea. Il mandante degli omicidi di Hollywood è un trasformista.

L’artista, il politico e l’eroe vendicatore convivono nel corpo di Charles Manson, supportandosi a vicenda

Nell’ultima fase della sua vita, l’arte prende il sopravvento. La musica sembra sia stato il movente ultimo dell’induzione della famiglia che si era costruito a compiere le stragi. La musica voleva essere la soluzione finale per rimediare all’indigenza. La musica è la sostanza scenica con cui “Chi è la bestia” si realizza. Spirito, anima, foriera di verità. È un impasto antropologico complesso che sintetizza richiesta di giustizia e tendenze millenaristiche. La musica è colonna portante della storia quanto della scena, sembra suggerire Bilotta. Perché spingerebbe il razzista di Cincinnati a riformulare il mondo a propria immagine.

La schizofrenia che investe la caratterizzazione Charles Manson trova anche un’altra direzione esegetica

Sono luci e linee geometriche disegnate da Capoccetti nel suo vagare sul palco a indicare in che veste bisogna considerare Charles Manson sulla scena. Risulta dolce e tenero con Linda, sensuale con Sadie, un lucido visionario pieno di tic con Bugliosi. Il potere magnetico esercitato dalla sua figura è favola epica nel primo caso, relazione erotica e musicale nel secondo e politica giustizialista nel terzo. Il serrato confronto finale tra Manson e Bugliosi sul movente delle stragi è costruito in un dinamismo caricato sulla prestanza fisica dell’attore. “Chi è la bestia?” ha come fonte primaria la stessa di “Mindhunter”: la storica intervista dal carcere realizzata da “60 minutes Australia”. Tra “The Star-Spangled Banner” e “Yankee Doodle” come risposta irriverente, è condensata la risposta alla domanda “Chi è la Bestia?”.