La musica di Loreena McKennit ha una splendida eleganza. Parla di antiche strade di ciottoli, di deserti lontani, di personaggi che non sfigurerebbero in un racconto ottocentesco, o in una fiaba di Oscar Wilde. Figura schiva, sempre lontana dallo scenario mainstream, la musicista, cantante e compositrice canadese ha creato, durante la sua decennale carriera, una speciale miscela di world music.
Al contrario di una Enya, che fa della spiritualità della new age il cuore della sua musica, Loreena McKennit trae ispirazione dalla letteratura e da una grande passione per il viaggio. Ne risulta una sonorità sfaccettata, complessa, ricca di suggestioni provenienti dalla cultura anglosassone, ispanica e araba. Un’armonia perfetta, che mostra in modo sorprendente come, a livello musicale, queste culture siano molto meno lontane di quanto possa sembrare.
Le ispirazioni di Loreena McKennit sono la letteratura e le varie culture del mondo
E se, tra le altre cose, la World Music dovesse fissarsi un obbiettivo morale o sociale, sarebbe certamente questo. Il primo novembre Loreena McKennit ha rilasciato il suo nuovo album. Un corposo live da cento minuti, che dà alla cantante la possibilità di cantare brani mai ascoltati dal vivo. “Live at the Royal Albert Hall” è un eccezionale mix di qualità tecnica e visione artistica.
La grandiosità della struttura orchestrale e la voce da soprano della McKennit, (una carezza per consumate orecchie da metallaro) fanno da sontuosa cornice alle storie poetiche raccontate dai testi. Si era accennato alla varietà delle influenze sonore. Le due tracce di apertura ne sono un esempio perfetto. “Bonny Portmore”, aperta dal suono della ghironda di Ben Grossman (strumento mitteleuropeo, a corde ma simile alla cornamusa, nda) è un tipico brano popolare anglosassone, nel ritmo, nel suono e nella tematica.
Un album live corposo, in cui la grandiosità dell’apparato orchestrale si accompagna alla splendida voce della cantante
“All Souls Night” è invece una traccia meticcia. La tematica strettamente cristiana del giorno dei morti viene espressa da un sound arabeggiante, creando un interessante shock semantico tra musica e parole. Così si potrebbe dire della bellissima strumentale “Spanish Guitars and Night Plazas”, seconda traccia del lato B del live. Qui il chitarrista flamenco Daniel Casares ci spedisce dritti in una pianura andalusa, a respirare il grano e il calore dell’estate.
Ma ogni canzone ha un suo perché, in un album che, nonostante la mole, non stanca l’orecchio, complice la diversità e varietà degli arrangiamenti. Un album decisamente da raccomandare a chi ama la World Music, il Celtic Folk, o chi vuole semplicemente spaziare con la mente, in luoghi lontani nello spazio e nel tempo.