La ricchezza de LA VIOLENZA DELLA LUCE, l'album di GIANLUCA DE RUBERTIS
Il musicista Gianluca De Rubertis in una fotografia promozionale.
Il musicista Gianluca De Rubertis in una fotografia promozionale.

La ricchezza de LA VIOLENZA DELLA LUCE, l’album di GIANLUCA DE RUBERTIS

la violenza della luce gianluca de rubertisSuggestivo, ironico, elegante ed affamato di poesia. Questo è “La Violenza della Luce”, terzo lavoro discografico del già co-fondatore de Il Genio – quanto s’è amata “Pop Porno?”, Gianluca De Rubertis. Uscito il 23 Ottobre per Sony Music, “La Violenza della Luce” è un disco ricco di bellezza. Otto brani per una scarsa mezz’ora d’ascolto e diverse mezz’ore di slanci emotivi e di pensiero. Prima d’ora e dopo la fenomenale esperienza vissuta con Alessandra Contini attraverso cui il progetto Il Genio aveva riscosso successo ed interesse mediatico, Gianlua De Rubertis aveva già pubblicto due dischi ampiamente riconosciuti come meritevoli dalla critica.

Suggestivo, ironico, elegante ed affamato di poesia. Questo è “La Violenza della Luce”

Già con “Autoritratti con Oggetti” , nel 2012, la critica ed il pubblico avevano accolto con entusiasmo le straordinarie doti di arrangiatore e scrittore che Gianluca De Rubertis possiede. Così, come quelle di pensatore, si direbbe. Infatti, “La Violenza della Luce” sembrerebbe un piccolo papmpleth su usi e costumi del contemporaneo quotidiano che il nostro vive e condivide con il suo pubblico. Basta l’apripista a mettere in tavola tutte, o quasi, le intenzioni cromatiche che dipingono “La Violenza della Luce”. “Io, mica voi” è forse più caratteristico del disco, in cui sembra sia la diversità ad essere il centro di gravità permanente di quello che alla fine Samuel Beckett descrisse bene come una “cara incomprensione” d’ogni “Io” ed unica ragione per cui si sarà sempre se stessi. E questo, non è che un punto di partenza.

Perché a pensarci, senza un “Tu”, come si può dire “Io”? Ed è proprio nella dimensione più dolce e bisognosa d’umanità che Gianluca De Rubertis mette infatti in custodia il bisogno d’amare e d’essere amati. Nella ballata “Solo una bocca”, l’autenticità del bisogno comune si palesa e respira attraverso una bocca che pronunci, che baci, che tocchi. E che beva e faccia bere, per così un po’ dimenticare: “Versateci del Vino” prosegue infatti la sagra quotidiana della leggerezza dei costumi e l’inutilità, a volte, di ciò che sembra necessario: azzerare la memoria perché l’identità è persa.

“La Violenza della Luce” sembrerebbe un piccolo papmpleth su usi e costumi del contemporaneo quotidiano che il nostro vive e condivide con il suo pubblico

“Che ci facciamo noi”, vittime di un destino non scelto o se scelto, mai davvero libero. Eppure si va avanti, e lo si fa attraverso il buio a cercare una luce che colpisca. Con trovate sonore che omaggiano ai grandi del cantautorato italiano ed un gusto pop di spiccata raffinatezza. Tra sintetizzatori e arrangiamenti ad archi, si arriva a “Pantelleria”, dove la luce la procura il sole e l’ambiente la nostra scatola cranica che immagina il mare e l’amore ed il vino e una gioia.

È “La violenza della Luce”, title track del disco, che vuole l’amore, che vuole abbracciare una sorta di disciplina che sempre accompagna una scelta, ogni scelta. Emozionante, qui, la sonorità squisitamente pop a metà tra anni ’80 ed ultimi 2000. Una melodia che va a intrecciarsi, dolcissima, alla nostalgia e la bellezza che investe il perdono dei propri stessi dubbi, del proprio essere acerbi.

Ed è da “Nel cuore del cuore” che si arriva al gigantesco punto interrogativo dell’ultima traccia, “Dimmi se lo sai”, pezzo oscuramente vivo, lento e a suo modo pesante. Interroga il bene, scruta il male e viceversa. Un po’, in fondo, come tutto l’album. Una gemma luminosa che vuole la luce di Platone, fuori dalla caverna, dove il reale deve prendere il suo tempo per assumere una forma che sia riconosciuta, concretamente vivibile, assimilabile da quell’io che è mica voi. Una luce violenta, quella di Gianluca De Rubertis, sì. Violenta perché arriva dal buio più pesto. E più male fa, più apre i polmoni, proprio come l’ascolto del disco.