I legnanesi She Likes Winter sono più o meno degli esordienti nel mondo musicale. Tre anni fa pubblicarono il loro primo minialbum, “A Year in Our Lives”. Un lavoro sperimentale, che non temeva di giocare coi generi e già definiva la personalità sonora della band. “Bruises” è il loro primo full lenght. Un album dal tocco leggero, che fonde in una delicata sintesi alternative pop/rock ed elettronica, con tocchi shoegaze e psichedelici. La voce di Simona Pasculli è certamente il primo punto di forza di “Bruises”. Serena, consolatoria, ma anche capace di modularsi in scorci più recitati e graffianti, è un ottimo commento al racconto dei “lividi” che la vita infligge. Curioso, pensando che la band in origine era pensata come progetto strumentale. Un comparto, quest’ultimo, che allo stesso modo dimostra una cura sopra la media.
“Bruises” è un viaggio soffuso tra tenerezza, rapporti umani e lividi della vita, sostenuto da un dolce sound psichedelico
I She Likes Winter, stanno costruendo la loro identità espressiva, e nonostante le ispirazioni siano ben rintracciabili nella tradizione post rock anni ’90, (l’impronta estraniante, positivamente onirica dei Sigur Rós è, direi, la principale, modulata da piccoli inserti rock più abrasivi) il loro sound risulta personale e coerente. Rompono il ghiaccio con le atmosfere soffuse di “Asynchronica”, per proseguire sullo stesso tono con “Bruises” e “9”. In quest’ultima, sul finale. le distorsioni cominciano a venare il sound, regalandogli una innervatura shoegaze delicata, che contribuisce alla psichedelia invece che spezzarla. Più movimentato anche il crescendo di “So Come Closer”, che lascia spazio a un inspessimento delle suggestioni psichedeliche. Le tastiere pervadono “Giselle” di un riverbero sognante, mentre il cantato, italiano in questa unica traccia, racconta una tenera storia di amore, desiderio e gelosia.
Il primo passo pieno dei She Likes Winter sulla scena musicale batte sui tasti giusti
Dopo questi dolori al cuore, “Runaway” e “Varsavia” formano un ideale dittico di evasione, il cui tono monocorde, però, ne impedisce l’efficacia. Forse le tracce meno funzionanti di “Bruises”. Il finale dell’album è “Paralysis”, pezzo atipico rispetto al resto dell’album, e proprio per questo sorprendente. Solo strumentale, incede lento, contaminando la psichedelia dolce delle tracce precedenti con un tono più solenne, che alla fine sfuma nelle eco di un vuoto cosmico. In conclusione, il primo passo pieno dei She Likes Winter sulla scena musicale, mi sembra, batte sui tasti giusti. Nonostante qualche traccia meno efficace, o troppo monocorde, la band dimostra di saper rielaborare le ispirazioni in una sperimentazione personale e anche onestamente coraggiosa. Sarei curioso di vederli spingere ancora di più sulla psichedelia, magari lasciando a queste distorsioni un ruolo più prominente. Li consiglio ai fan dei Sigur Rós, dei Blonde Redhead, dei Mogwai.