LIQUID SHADES: "Perché la musica è questo: emozione!"
I Liquid Shades durante una performance live.
I Liquid Shades durante una performance live.

LIQUID SHADES: “Perché la musica è questo: emozione!”

Dò un caldo benvenuto ai Liquid Shades sulle nostre pagine! Con l’uscita del vostro video a fine settembre, è un autunno ricco di emozioni per voi, non è vero?

Sì, questo autunno è ricco di emozioni e ricco anche di contenuti perché ci stiamo dedicando a più di un’attività, soprattutto alla promozione del video e alla distribuzione del disco. Siamo molto contenti di aver fatto questo secondo video, “Insomnia”, che è molto più ricco e completo rispetto a “Locked Exit”, più sintetico dal punto di vista sia narrativo che degli effetti speciali. Ci siamo divertiti molto a farlo. Il video è stato pensato principalmente da Marco (chitarra e voce) e da Andrea Robustini, il nostro videomaker, ma ci sono anche molte idee di Simona, la ragazza di Marco. Il video è stato girato diversi mesi fa, nel periodo prima di Pasqua, quando Andrea, che vive all’estero, era qui in Italia in vacanza.

E come è venuta su?

Abbiamo iniziato a pensare alla sequenza delle scene e poi l’abbiamo girato in un paio di giorni. Un’intera giornata in realtà ci è voluta solo per le riprese che abbiamo fatto al Circolo Culturale Arci Contrarock di Ferrara, che ringraziamo per averci dato la possibilità di utilizzare i suoi spazi per il nostro video. È stata una bellissima esperienza. Avendo avuto più tempo avremmo fatto volentieri altri video. In realtà questo periodo “post estate” è anche molto creativo: dal punto di vista produttivo stiamo già macinando nuove idee. Siamo sempre in fermento… anzi, in fermentazione… come la birra!

E altrettanto frizzanti, mi sembra! Siete una band relativamente giovane, ma nel mondo della musica se ne vedono e sentono di tutti i colori. Avete qualche storiella divertente da raccontare al nostro pubblico riguardo la vostra attività live o studio?

Siamo estremamente legati al cibo, in realtà cerchiamo date esclusivamente per andare fuori a mangiare gratis! Scherziamo… Di live ne abbiamo fatti tanti, tantissimi, e abbiamo vissuto un sacco di serate di baldoria! Una serata particolare: qualche anno fa abbiamo suonato in un bagno al mare al Lido di Pomposa (FE). Una location bellissima: eravamo all’aperto, a bordo piscina, però eravamo sulla spiaggia. Noi non lo sapevamo, ma quella sera c’era un evento privato e quindi abbiamo suonato davanti a dei vip! C’era Andrea Roncato, Franco Trentalance, Adriana Volpe e altri. Loro erano lì a cena e noi in pratica abbiamo suonato per loro senza saperlo prima! Alla fine del concerto Trentalance è venuto anche a complimentarsi dicendo che gli piaceva “Tempo di Andare”…forse perché è il brano più lungo??

Heh, direi probabile! Ho ascoltato recentemente il vostro album, e sono rimasto favorevolmente colpito dalla vostra idea di musica. Mi è sembrato che voi voleste rendere in qualche modo più accessibile il progressive, genere di solito precluso alle orecchie meno “navigate”. Potreste parlarci del vostro progetto artistico?

Effettivamente questa è una bella analisi, ha un punto di vista interessante. Marco (chitarra e voce) e Diego (chitarra e lap steel) sono quelli un pochino più fissati col prog standard e notiamo che nel nostro sound c’è una sorta di semplificazione all’ascolto. Quello che suoniamo noi non è un genere molto tecnico, più di altri sicuramente, ma non come alcuni generi tipo il metal shred o il super tecnico djent. Il nostro può essere una versione più easy listening di quello che è il classico progressive. Sicuramente per le melodie o per le atmosfere arriva in maniera più semplice all’orecchio di chi non è abituato ad ascoltare il genere. È più melodico e armonioso. Meno ostico, perchè spesso il progressive tende ad essere molto prolisso o addirittura duro negli accordi scelti.

Certo, soprattutto quello meno ispirato.

Forse tutto questo è dovuto anche alla contaminazione di quello che ci piace ascoltare. Perché noi ascoltiamo anche molto altro, dal pop al rock al jazz. In fondo noi non siamo degli anni Settanta, e da allora si sono susseguite un sacco di altre cose nella musica, e noi teniamo conto di tutto nella nostra sperimentazione. A dire il vero il nostro progetto artistico si basa sul fatto che noi facciamo quello che ci sentiamo. Suoniamo una sorta di neo progressive ma non con l’ambizione di farlo per forza, facciamo in realtà quello che ci va e che ci viene. Spesso quando qualcuno non sa come definirlo lo chiama progressive perché va meglio così, però sostanzialmente noi ricerchiamo i temi più che il genere musicale.

Ho capito, la vostra creazione non è programmatica, ma naturale, istintiva. La copertina di “Locked Exit” è davvero suggestiva. Ho letto che è proprio da quell’immagine che è scaturita l’idea dell’album. Potreste raccontarci il momento in cui è cominciato tutto?

L’idea l’ha avuta Marco. Un giorno ha visto su Facebook una foto scattata dal nostro amico Luca Vignaga in un posto vicino a dove abita lui, a Stienta (RO). Lo ha colpito molto quella specie di boschetto con un cancello davanti che non è collegato ad una recinzione, non c’è altro, quindi ci puoi girare intorno. E lui sta lì a chiudere cosa? Niente. Eravamo ancora in piena fase di registrazione del primo album, ma Marco ne fu talmente colpito che una sera ne parlò con Diego e da lì nacque l’idea di fare un altro disco che si chiamasse “Locked Exit”. Più che altro è nata l’idea del concept e del primo brano che poi dà il titolo all’album. In seguito abbiamo cercato di lavorarci attorno per la composizione degli altri brani. Insomma tutto è nato da una foto vista per caso.

E poi?

Più avanti, quando è stata ora di fare la foto per la copertina, Luca ci ha mostrato il luogo esatto. Siamo andati con Jacopo Aneghini (che ha scattato la foto della copertina e altre interne al booklet) in questo posto che è ancora lì, uguale a come era quella volta che Marco lo ha visto in foto, quasi fermo nel tempo. E probabilmente resterà ancora così per molto tempo perché quel terreno è lasciato andare, abbandonato.

La tematica della depressione, o comunque di un inutile agitarsi in un mondo alienante e insensato, mi è sembrata palpabile lungo tutto “Locked Exit”. Cosa pensate di questo problema?

In realtà inizialmente non abbiamo pensato a quel tipo di clima, è venuto fuori e ad un certo punto lo abbiamo portato avanti, ma non era voluto, non era forzato. È tutto istintivo e meno ragionato. All’inizio le tematiche e le sonorità sono emerse da ciò che succedeva intorno a noi, sfighe successe quel giorno, o cose che avevamo letto sul giornale, o fatti che ci hanno colpito. Il riff di “Locked Exit”, ad esempio, è venuto in mente a Diego (chitarra) quando ha sentito della morte di Allan Holdsworth. Anche alcuni testi sono stati scritti in momenti particolari di un periodo che per ognuno di noi non era dei migliori. Insomma, abbiamo sfogato in queste canzoni un periodo di merda. E alla fine abbiamo cercato di immedesimarci negli aspetti della depressione.

Ah, quindi non è stata un’idea ragionata, almeno all’inizio.

No. Anche in “Lontano da tutto” si sente molto l’alienazione e il fatto di essere quasi inadeguati al mondo o al periodo storico attuale. In realtà il testo è nato da un’idea di Simona, la ragazza di Marco (voce e chitarra), e poi lui ha adattato il testo alla musica. L’idea è nata quando stavamo cominciando a scrivere la parte musicale del tema in cui si sente un sacco di sax, ripreso tra l’altro anche nell’intro. Improvvisando Lorenzo (sax) aveva suonato una serie di melodie che abbiamo ripreso per la parte melodica del ritornello. E mentre noi improvvisavamo, a Simona, che ci stava ascoltando, sono venuti in mente i versi del ritornello e poi spontaneamente è arrivato tutto il resto. Probabilmente il tutto è suscitato anche da una situazione di distacco e distanza fisica che stava provando lei in quel momento, avendo lasciato famiglia e amici a Cesena per trasferirsi con Marco in provincia di Ferrara.

Un bel salto nel buio.

Se abiti lontano da quella che senti Casa, il fatto di lasciare un po’ tutto scatena il fattore nostalgia, il sentire che per quanto qui dove sei hai degli affetti e dei legami, comunque le tue radici sono da un’altra parte, lontane. Poi in realtà il testo di “Lontano da Tutto” si può adattare anche a moltissime altre situazioni. In ogni caso la riflessione fatta nella tua domanda coglie nel segno perché questi sono argomenti che trattiamo spesso, non solo in quanto a liriche, ma anche come atmosfere. Perché? Beh, per citare Luigi Tenco “perché, quando sono felice esco”! Ma prima o poi faremo anche una canzone felice dai, tutta in maggiore, come una hit dell’estate!

Quali sono le band che hanno influenzato maggiormente la vostra musica? Parlo sia del mondo progressive che della vostra anima più rock.

Probabilmente i Pink Floyd sono la band che mette d’accordo tutti. La loro influenza si sente maggiormente nei vecchi pezzi, ora stiamo sperimentando anche sonorità diverse, ma credo che l’influenza si senta comunque. I Pink Floyd quindi sono il nostro minimo comune denominatore, ma ognuno di noi ha gusti, ascolti e influenze proprie. Forse Lorenzo, suonando il sax, è quello che ha meno la possibilità di far sentire quello che gli piace e che ascolta. Fosse per lui ci metterebbe i Pantera! Quindi più che far emergere le proprie influenze musicali con lo strumento, le inserisce nella concezione del pezzo, sia in fase di registrazione che durante la composizione. Filippo (batteria) è un fan dei Dream Theater e dei Tool. Invece Paolo (basso) ascolta meno il genere progressive per definizione e molto più rock anni ’80, quindi il filone glam rock, Van Halen, Guns N’ Roses, pezzi carichi e pieni. Anche se, arretrando cronologicamente, anche gli Yes fanno parte delle sue influenze. Diego (chitarra) dice di essere il più perverso perché già da bambino ascoltava i King Crimson.

Un uomo di cultura!

Si, per lui quella era la “musica normale” ed è arrivato ad ascoltare il resto più avanti. Tanti partono dai Pink Floyd e poi scoprono le band più di nicchia. Lui è partito direttamente dall’estremo e man mano si è portato in una situazione “normale”. Tutto questo si sente molto quando suona. Marco (voce e chitarra) invece da giovane suonava heavy metal! Ma in realtà lui ascolta un po’ di tutto (tranne la trap che per lui non è musica!). Non c’è un genere che sente suo in modo esclusivo, l’unico gruppo che periodicamente ritorna sono loro, i Pink Floyd, e chi li conosce bene sa che dentro alla loro musica c’è tantissimo! È una di quelle band che ha fatto veramente di tutto con le loro sonorità. Dentro la loro musica c’è un pezzetto di ognuno di noi e viceversa.

La terza canzone del vostro album si chiama “Ozymandias”. Il Re dei Re divorato dalle sabbie nella poesia di Shelley, citato dalla serie “Breaking Bad”. Quanto conta il mondo della celluloide nella vostra musica?

Il mondo della celluloide è importante ma non tanto da condizionare la nostra musica. Il riferimento a Ozymandias è un’idea a cui giravamo intorno già da un bel po’, sicuramente da prima che noi vedessimo “Breaking Bad”. Il titolo in realtà fa riferimento alla storia del faraone Ramses II che era chiamato Ozymandias, il re dei re. Nel sonetto di Shelley questo faraone aveva l’enorme ambizione di fare cose sempre più grandi ma alla fine il tempo cancella le imprese e non ne rimane niente.

“Nothing beside remains”.

Questo è il brano più sociale e politico del disco. Come Shelley con la sua opera vuole rivolgersi ai grandi imperi a lui contemporanei, noi con il nostro brano vogliamo denunciare le grandi nazioni attuali. Se si legge bene il testo ci si rende conto che in realtà è un brano di denuncia che parla delle situazioni attuali e dei problemi, specialmente legati al terrorismo e ai poteri forti.

Quindi più che alla celluloide, vi ispirate ai libri?

Si, nel caso della scrittura dei testi prendiamo più ispirazione dalla letteratura che non dal cinema. Probabilmente in futuro faremo più cose in questo altro senso, cioè pensando prima ad un’immagine visiva e poi alla musica. Ad esempio ora stiamo pensando ad un nuovo pezzo a cui siamo arrivati partendo dall’idea di come potrebbe essere il video. È un’idea visiva portata in musica. Una cosa simile l’abbiamo fatta anche con “Locked Exit” perché siamo partiti da un’immagine per concepire prima un brano e poi un disco, anche se non si tratta di un’immagine in movimento ma una foto. Conosciamo molti gruppi che fanno molto riferimento a film e serie TV; per quanto noi siamo tutti dei nerd sotto questo aspetto, non pensiamo che quest’arte condizioni tantissimo la nostra creatività. Almeno fino ad ora…

Come costruite i vostri pezzi? Uno di voi è preponderante nel processo creativo o si tratta di un processo interamente corale?

Dipende dai pezzi, il processo non è sempre uguale. Diciamo che Diego (chitarra) ha tanti primati, tanti riff vengono fuori da cose che lui ha improvvisato nel tempo, poi Marco (voce e chitarra) ha questa capacità di prendere, spostare, aggiustare e far saltar fuori qualcosa. Di solito partiamo dall’idea di uno e poi ognuno di noi ci mette del suo. A volte si parte anche da semplici improvvisazioni. C’è stato un solo pezzo che è arrivato fatto e finito che è “To glimpse the oneiric shades”, tutti gli altri sono partiti da un’idea e poi c’è stato un lavoro di equipe. Alcuni brani del primo cd derivano da vecchie idee musicali di Marco, ma poi quasi niente è rimasto com’era. Principalmente facciamo comunque tutto insieme, alcune volte rigiriamo i temi talmente tanto che alla fine dell’idea originale non rimane niente. Questo vale per la musica. I testi al 90% sono opera di Marco. Una volta collaborava con il vecchio cantante del gruppo, ora ha fatto qualcosa insieme a Paolo (basso), ma per la stragrande maggioranza viene tutto da cose che ha scritto lui.

Ringraziamo i Liquid Shades per il loro tempo, e gli lasciamo volentieri lo spazio di chiusura!

Ringraziamo vivamente la redazione di Music.it per l’opportunità e per le interessanti domande che ci ha posto, ringraziamo anche chi da sempre ci segue e ci supporta e chi vorrà iniziare a seguirci ora che ha letto questa intervista. Seguiteci sulle nostre pagine social, guardate i nostri video su Youtube e ascoltateci su Spotify! E venite sul nostro sito a chiederci il cd! A questo proposito ne approfittiamo per invitare tutti i lettori ad acquistare più dischi, perché negli ultimi anni si consuma troppa poca musica stampata. Il disco è un’opera completa, ha una sua storia e una sua anima che va scoperta ascoltandolo integralmente, tenendolo in mano e sfogliando il booklet. Ascoltare il singolo brano su Spotify non fa lo stesso effetto. Perché la musica è questo: emozione!