Ai gloriosi anni ’80 risale quella che forse è la fattispecie più commerciale del metal. Basta dare uno sguardo alla cover dai Sandness per riconoscere la vena hair che non smette di affascinare ascoltatori di tutto il mondo. È italianissima la band che si inserisce perfettamente in una tradizione di tutto rispetto. Arguti e frizzanti, a partire dal nome. Decisamente controtendenza perché siamo abituati a pensare i rockettari come gente poco da spiaggia. Sarà il fastidio arrecato dalla sabbia a essere evocato dal loro nome? Il bisogno di avere risposte c’è tutto. Ma una cosa è sicura: “Untamed” è un album che spacca. La parabola dei Sandness è tutta in ascesa. Insieme dal 2010, hanno iniziano con EP autoprodotti, per poi trovare il supporto inizialmente dell’etichetta Sleazy Rider Records e poi approdare alla Rockshots Record, un’eccellenza nel panorama emergente che lascia spazio solo al meglio per gli amanti dei ritmi solidi e dei sound robusti.
“Untamed” dei Sandness è un album raffinato nella produzione e nella composizione.
Si compone di undici tracce che vanno giù come whisky. Bruciano i riff indiavolati di Robby Luckets. Emozionano i vorticamenti vocali pieni di spirito e grinta che si snodano in ogni traccia, sostenuti e rincorsi dai groove di Metyou ToMeatYou. Veri e propri controcanti quelli che si instaurano tra la sei corde e il basso di Mark Denkley. Impossibile non cogliere lungo “Untamed” il meglio della produzione dei Whitesnake e dei Mötley Crue. A volte risuonano persino i Cinderella e i RATT. Ma una menzione particolare va fatta a una traccia acustica in cui a essere omaggiati sono i The Beatles. Nel minutaggio strumentale di “Pyro” è impossibile non pensare all’intro di “Norvegian Wood”.
“Untamed” dei Sandness è selvaggio nelle emozioni che restituisce.
“Untamed” è un album gradevole, una boccata d’aria fresca. Oggi produrre del sano e robusto rock non è semplice, soprattutto per la difficoltà di diffusione. Come a tante band con proposte old style gli si potrebbe rimproverare di non picchiare abbastanza rispetto ai cugini suonatori di trash metal. Se c’è un grumo di amarezza nell’ultimo album dei Sandness è nel fatto che non graffiano. Resta dunque un album per gli amanti delle sonorità morbide. Ma se da un lato la band non aggredisce, dell’altro emoziona. Non è necessariamente un male far battere ancora il cuore a frequenze elevate. Non solo in attesa di un prossimo album o di un tour, ma soprattutto di un possibile approfondimenti di un’identità che si cela sotto le coinvolgenti tracce di “Untamed”. Che sì, sono selvaggi, ma nelle emozioni restituite.