“Loro 2” esige una revisione, intesa sia come ritorno in sala sia come ritorno sui propri passi. Il giudizio anche a opera terminata sembra sospendersi, doverosamente più che volontariamente. Questo en passe critico nasce – almeno per chi scrive – dal finale del dittico sorrentiniano sul Cavaliere, poiché gli ultimi cinque minuti di pellicola prolungati significativamente sui titoli di coda sovrappongono all’intero film un filtro nuovo. La bellezza stranamente composta della chiosa registica, e anche la sua alterità spiccatamente metaforica rispetto a quanto visto fino a quel punto, impongono un’incertezza proficua di giudizio. Senza fare spoiler sul finale succitato, se ne vuole soltanto sottolineare la potenza rimediatrice, che ricolloca il significato della parola “Loro” e pratica uno spostamento virtuoso di tutti i personaggi e i fatti mostrati sotto una luce interpretativa diversa e più nobile.
Sorvolando su questo motivo di ripensamento, c’è da dire che tutto il film denota sin da subito una cifra differente dal capitolo precedente. Sebbene la seconda puntata registica parta proprio lì dove la prima era stata interrotta, con Silvio Berlusconi che progetta la compravendita di 6 senatori per far cadere il già instabile governo Prodi – la cronistoria è ferma al 2008, ricordiamolo – essa si presenta sullo schermo già ripulita, sfrondata da ridondanze estetiche ed esibizioniste e più centrata sulla propria sostanza indubbiamente affascinante.
Paolo Sorrentino sfrutta i 100 minuti a disposizioni per riempire lo scheletro di un personaggio che era stato solo abbozzato. Come un pianeta su cui atterrare, il corpo Silvio Berlusconi era stato perlustrato in lontananza, solamente avvistato nelle sue prepotenti sembianze. Stavolta il protagonista è subito a fuoco, credibilissimo nelle sue distorsioni e iper-reale anche nel ruolo di un agente immobiliare, un espediente narrativo riuscito a dimostrarci la scaltrezza con cui avrebbe poi trafugato voti in Parlamento, quasi inevitabilmente.
Gli ultimi cinque minuti di “Loro 2”, prolungati significativamente sui titoli di coda sovrappongono all’intero film un filtro nuovo.
Dunque più sostanza subito, sebbene ammassata con pure troppa necessità di dire, finendo per comprimere nell’arco di pochi mesi episodi e scandali dilazionati negli ultimi dieci anni di storia italiana. Il punto di partenza narrativo è esuberante e deciso, solidamente puntato a inscenare le tinte più carnali di Villa Certosa. La civetta di Tarantini fatta di olgettine spavalde ha fatto colpo sul di lì a poco premier, e il ginepraio mostruoso ha invaso i giardini inviolati della residenza costiera. Tacchi a spillo, seni, tavolate con pizza e champagne si sostituiscono a schiaffo agli interessi culturali di Veronica Lario partita per un viaggio esotico spirituale.
Silvio Berlusconi diventa il centro del racconto insieme ad aspiranti attrici, vallette inebetite ed europarlamentari improponibili. Ma è un corpo moribondo, l’inconsapevole carcassa da cui tutti cercano di attingere un pezzo, un posto in tv o una poltrona politica. La decomposizione trapassa dal suo alito, né fresco né cattivo, ma semplicemente di un vecchio, ridicolizzato dalle proprie pretese giovanili come il sedersi all’indiana o l’accendere uno spettacolare vulcano in giardino. Significativamente la scansione dei passaggi riduce il ritorno al Governo all’ultima parte della pellicola, configurandolo come il più classico degli inizi delle fini più misere, finanche di catastrofi imminenti.
Silvio Berlusconi diventa il centro del racconto di “Loro 2” insieme ad aspiranti attrici, vallette inebetite ed europarlamentari improponibili.
Il sisma dell’Aquila duplica lo sfacelo coniugale del Caimano, avvicinando l’atto di rottura tra un uomo e una donna a quello sopraggiunto tra un paese e la sua guida. Le crepe che si aprono nell’asfalto e i muri divelti si replicano sul volto di Toni Servillo, le cui rughe si approfondiscono di minuto in minuto sotto il segno della consapevolezza di essere amato da Loro e odiato da tanti. Lo schermo stavolta diventa uno specchio in cui ravvedersi letteralmente per puntare il dito su quello che siamo stati e su quello che abbiamo permesso di essere. Alla fine, si finisce per appoggiare l’idea sorrentiniana di non puntare il dito all’uomo Silvio ma alla polis italica, a un popolo intero ammaliato e connivente.