LOVE IN ELEVATOR: "Questo decennio pesa come un secolo!"
Anna Carazzai, Andrea Volpato e Federico Mellinato: Love in Elevator
Anna Carazzai, Andrea Volpato e Federico Mellinato: Love in Elevator

LOVE IN ELEVATOR: “Questo decennio pesa come un secolo!”

Benvenuti, Love in Elevator! Music.it è molto felice di ospitarvi tra le sue pagine. Cominciamo da un tuffo nel passato: qual è un aneddoto particolarmente felice che vi lega alla musica o in particolare alla vostra storia, iniziata nel 2004?

ANNA: Sicuramente il primo contatto che abbiamo avuto con gli Shellac. Io e Michela (bassista dei primi due album dei LIE) siamo andate a sentirli dal vivo il 6 giugno 2006 (666) all ’Estragon di Bologna. Dopo lo show abbiamo incontrato Todd Trainer, batterista degli Shellac, e gli abbiamo fatto i nostri complimenti per il concerto, lui ci ha invitato a conoscere il resto della band, e da lì è nata un’amicizia che va avanti da anni.

Accidenti!

Sempre legato a Todd, che vive a Minneapolis, ci sono altri due aneddoti musicali. Nel 2009 sono andata a trovarlo negli States, e senza sapere nulla, due giorni dopo il mio arrivo ero a cena con lui e Lori Barbero delle Babes in Toyland, una band fondamentale per lo sviluppo dei Love in Elevator! Sono stata a fare shopping con lei un pomeriggio intero in tutti i mercatini d’antiquariato della città, e a casa sua mi ha raccontato altri innumerevoli aneddoti sulle band degli anni 90, Hole e Jesus Lizard, ma soprattutto sui Nirvana e Kurt Cobain.

Non ci credo!!

Che dire, non ci credevo nemmeno io. Un tardo pomeriggio invece eravamo in un grandissimo negozio di dischi della città, mi ero un po’ persa a spulciare tra i vinili, quando ho ritrovato Todd Trainer all’entrata stava parlando con un uomo che odorava tantissimo di incenso. Mi ha presentata come la sua “amica italiana”, abbiamo parlato e scherzato, ma io non l’avevo riconosciuto: quell’uomo era Grant Hart degli Husker Du (RIP).

Love in Elevator è una band veneta. Eppure il vostro è un sound dalle radici contaminate e internazionali. In che modo il luogo di provenienza influisce sulla scrittura e l’espressione della vostra identità?

Questa band è nata in un appartamento a Venezia, e poi negli anni, nonostante i vari cambiamenti, abbiamo sempre avuto base con la sala prove nella zona industriale di Marghera, ora siamo a Tessera, sempre nel veneziano. La malinconia della laguna ha giocato un ruolo importante sulle tinte cupe della nostra musica, così come i fumi delle fabbriche di Marghera hanno influito sul suono claustrofobico dei primi due album. Ora a Tessera l’atmosfera è più accogliente e rassicurante, e forse si sente, il sound è decisamente meno disturbato.

La vostra è una formazione che, dall’originario trio femminile ad oggi, ha “subito” diversi cambi. Vorrei ci parlaste di cosa succede negli equilibri di una band tanto potente come la vostra – e penso alla dimensione live – quando se ne spostano le sinergie.

Il grosso cambiamento è avvenuto nel 2006, quando Giulia (Volpato, cantante) ha lasciato la band. Lì è stato un salto nel vuoto, un cambiamento brutale che mi ha spinta a calci fuori dalla mia zona di comfort. Si sono spostate le sinergie, perché sono stata letteralmente obbligata a cantare, quando fino ad allora il mio compito era soltanto alla chitarra, al massimo ai cori. Gestire uno strumento e una voce non è facile, ma piano piano ho trovato la mia dimensione. Poi per quanto riguarda gli altri cambiamenti, credo che non abbiano mai destabilizzato, anzi, i musicisti che mi hanno affiancato negli anni hanno portato la loro ricchezza di volta in volta, contribuendo alla crescita della band.

Oltre alle dinamiche di amalgama di nuove sonorità, nel tempo sono cambiate anche le vostre influenze o ispirazioni? Chi vi piace oggi che ritenete sia necessario seguire? Date una dritta ai nostri lettori!

I nostri ascolti per fortuna sono in costante mutamento, come tutto del resto. In tre nella band poi, ascoltiamo cose completamente diverse. Se ci sono influenze stabili e ricorrenti come Jesus Lizard, Shellac e Fugazioggi vale sicuramente la pena di seguire band come i Death Grips, che non c’entrano assolutamente nulla con noi e il nostro approccio alla musica, ma mi hanno sconvolta dal vivo, cosa che non era mai successa con nessuno prima. Ascolto moltissimo Connan Mockasin e gli Sleaford Mods.

Cosa mi dite dell’esperienza di condividere il palco con grandi band come i Mudhoney e i Meat Puppets, oltre che gli Shellac? E com’è accaduto che foste proprio voi ad aprire le loro date italiane? (Una goduria, che sia chiaro!)

L’agente che segue i tour italiani di Mudhoney e Meat Puppets è un vero appassionato degli anni 90 e in noi ha ritrovato qualcosa che va a braccetto con quello stile di musica, ma anche nel modo di operare della nostra band. E così ci ha proposti come supporto ufficiale e le band ci hanno accolto con entusiasmo. Con gli Shellac c’è stima e amicizia, ci chiamano quando hanno voglia di rivederci, questa volta poi Bob Weston ha lavorato al disco ed è stata una motivazione in più a spingerli a chiamarci, volevano sentire come suona l’album dal vivo. In tutti questi casi, come è successo anche con i Refused, c’è comunque una scelta politica di dar spazio ad artiste donne, per bilanciare le energie maschili/femminili in tour, nella musica rock.

Sono trascorsi ben 9 anni dal vostro ultimo full-lenght, “Il Giorno dell’Assenza”. Rispetto alla pubblicazione di “Lies to Stars”, come vivete il cambiamento che la ricezione e produzione della musica hanno subito nell’ultimo decennio?

Questo decennio pesa come un secolo! È cambiato tutto, prima di tutto l’interesse verso il rock. Siamo ancora tra i pochissimi a voler fare questa musica fatta di chitarre, oramai l’elettronica o il rock contaminato dall’elettronica ha preso il sopravvento. Si vendono sempre meno dischi per via del digitale, ormai va così. È così che funzionano le cose, non c’è molto da fare, se non accettare serenamente un’era di velocità e bulimia del consumo.

Mi raccontate da dove arriva “Lies to Stars”? Di cosa parla? Qual è la sua forza?

Queste canzoni sono bugie che arrivano fino alle stelle, le bugie che raccontiamo agli altri, ma soprattutto quelle che raccontiamo a noi stessi. Indossiamo maschere per far parte di un ingranaggio sociale corrotto e sbagliato, le indossiamo con i nostri partner, gli amici le famiglie, al lavoro. In pochi hanno il coraggio di guardare in faccia la verità che ognuno di noi ha dentro, e in pochissimi hanno il coraggio di seguire quella verità. È più comodo per tutti stare nella menzogna a vita. Si vuole assolutamente essere accettati dagli altri, e pare sia più importante di accettare noi stessi.

Domanda di rito: qual è il concerto che Anna Carazzai, Andrea Volpato e Federico Mellinato non potrebbero perdersi per niente al mondo.

Mgmt!

Il vostro tour di presentazione dell’album si è concluso il 1 Giugno a Venezia. Sono previste altre date?

6-7 settembre Astro Festival, Pordenone.

Abbiamo concluso! Mentre vi ringrazio per la disponibilità, vi domando di riempire le ultime righe delle più belle “LIEs”  da raccontare alle stelle. A presto!

Questa è una società basata sulle trappole, sui paragoni con le vite degli altri e i modelli da seguire. Viviamo in un epoca di paragoni e i social media amplificano tutto questo, quindi anziché seguire il proprio percorso, si cerca di ricalcare i modelli degli altri. Niente di più sbagliato, questa è la più grande bugia, quella che ci porta dritti all’infelicità.