Il terzo album in studio degli immensi Queen usciva l’8 novembre nel 1974 che, dunque, si avvicina sempre di più al mezzo secolo. È assai probabile che i nomi degli album non dicano molto, e questo caso non si differenzia dagli altri. È stato il disco che li avrebbe portati finalmente al meritatissimo successo. Le tracce di “Sheer Heart Attack” non sono state registrate in modo convenzionale, perché la gestazione di quest’album fu resa complicata dalla malattia di Brian May. In quell’anno, a seguito di una vaccinazione fatta per affrontare la tappa australiana del tour, contrasse una forma virale di epatite.
“Sheer Heart Attack” fu registrato in quattro studi diversi, con momenti di silenzio per inserire le parti suonate e cantate da Brian May convalescente. Proviamo per un secondo a immaginare “Brighton Rock” senza il lungo intermezzo chitarristico. L’astrofisico dei Queen dalle medesime corde fa esplodere hard rock ed heavy metal, che in quegli anni compiva i primi passi. Non c’è ragione per cui i Queen si sarebbero dovuti esimere dal giocare con ogni novità che il mondo della musica stava mettendo a disposizione.
“Brighton Rock” – “Sheer Heart Attack” – Queen
Incidere e distribuire “Sheer Hart Attack” per i Queen non significava solo trovare il successo. È stato anche un tentativo di rabbonire una critica integralista che non riusciva a vedere nel dialogo tra esperienze musicali diverse una possibile strada da percorrere per il rock. In fondo, perché non si dovrebbe considerare una fattispecie di virtuosismo la contaminazione totale dei Queen, sulla scia dei barocchismi compositivi dei Genesis? In fondo, la partitura di Freddie Mercury non è da meno in “Lily of The Valley”, tanto elegante quanto espressiva.
Disse Freddie Mercury commentando l’uscita di “Sheer Heart Attack”:
«L’album è molto vario, lo abbiamo portato all’estremo, suppongo. Ma siamo molto interessati alle tecniche di studio e volevamo usare ciò che era disponibile. Abbiamo imparato molto sulla tecnica mentre stavamo realizzando i primi due album. Naturalmente ci sono state alcune critiche e una critica costruttiva è stata molto positiva per noi. Ma per essere sinceri non sono così entusiasta della stampa musicale britannica […]. Sento che i giornalisti emergenti, in generale, si mettono al di sopra degli artisti […]. Siamo stati chiamati una “sensazione” da supermercato. Ma se ci vedi su un palcoscenico, questo è ciò che ci riguarda. Siamo fondamentalmente una rock band».
“Killer Queen” – “Sheer Heart Attack” – Queen
Album che nasce sotto il segno della sfida: dimostrare alla critica che per essere una rock band non è necessario essere puri. L’amore per la coralità espresso attraverso il gospel e venature di jazz, che li contraddistinguono per tutta la produzione musicale, saranno riconosciuti come punti di forza. Forse ci vorrebbero più Queen al giorno d’oggi: a costo di essere blasfemi, con il loro amore per il suono, la curiosità nell’imparare, probabilmente riuscirebbero a far digerire la trap agli stomaci più allergici. Basti ascoltare “Tenement Funster” per accorgersi che c’è molto in comune con i neonati Whitesnake. E “Stone Cold Crazy” per apprezzare la vena metal ampiamente riconosciuta dai Metallica.
“Stone Cold Crazy” – (covered by Metallica)
L’imprevidibilità compositiva che intercorre tra le strofe di “Now I’m Here” e i ritornelli, le rende parti di due canzoni. Una buon anticipazione per “Bohemian Rhapsody” e “Innuendo”, che nel 1974 dovevano ancora essere scritte. Persino l’epica “In the Lap of the Gods”, ce nella mente di Freddie Mercury doveva avere la potenza di unire palco e pubblico in un solo canto. Questo ruolo sarebbe stato svolto più tardi dalla ben più nota “We Are The Champions”. Le ballads di “Sheer Heart Attack” sono le diversissime “Dear Friend”, da cui potrebbe risuonare anche “Love of My Life”, e “She makes me”, con uno sviluppo decisamente in hype. Il gospel si assapora meglio in “Bring Back That Leroy Brown”, la cui coralizzazione si appoggia a qualche strimpellamento di chitarra e ukulele all’occorrenza. “Sheer Heart Attack” è un album da riscoprire a ogni ascolto, su cui non dovrebbe mai accumularsi polvere.