NERO KANE: "Solo il deserto americano poteva rappresentare la mia musica"
Il musicista e cantante Nero Kane
Il musicista e cantante Nero Kane

NERO KANE: “Solo il deserto americano poteva rappresentare la mia musica”

Benvenuto Nero Kane su Music.it. Ci piace rompere il ghiaccio con una domanda di rito chiedendo un aneddoto particolarmente significativo legato alla musica. Il tuo qual è?

Ciao e grazie per lo spazio che state dedicando al mio progetto. Tra i molti aneddoti forse il più significativo per me risale proprio agli inizi del mio percorso. Avevo 23 anni e da pochissimo avevo iniziato a suonare il basso. Un giorno, improvvisamente, mi ritrovai a fissare un foglio su cui avevo annotato di getto le parole e la musica del mio primo brano. Dal nulla avevo creato qualcosa di mio e da li tutto è cambiato. Una nuova fase della mia vita era appena iniziata.

Puoi dirci da dove viene il tuo nome, Nero Kane, e perché lo hai scelto?

Nero deriva dal mio look estetico e dal mio mood, Kane è un ricordo della mia prima band The Doggs e un rimando al bassista dei New York Dolls, Arthur Kane e alla canzone “I Wanna Be Your Dog” degli Stooges. L’ho scelto per vezzo ma anche perché mi caratterizzava. Semplicemente mi ci ritrovo in questo nome.

Il tuo album “Love In A Dying World” è stato registrato e prodotto a Los Angeles da Joe Cardamone, che ha collaborato con numerosi artisti tra cui James Williamson degli Stooges e Warren Ellis. È stata un’esperienza, immagino, piena di emozioni e di ispirazione. Come è nata questa collaborazione e cosa ti ha lasciato?

La collaborazione è nata dopo essere stato direttamente contattato da Joe Cardamone, il quale aveva sentito la mia musica e ne era rimasto intrigato al punto da offrirsi come produttore per registrare del nuovo materiale. L’esperienza è stata intensa, difficile ma incredibilmente formativa. Quello che mi ha lasciato, oltre ovviamente al disco uscito, è stato un nuovo modo di vedere e affrontare la mia musica e il lavoro in studio, e soprattutto un nuovo punto dal quale partire per i successivi lavori. La mia consapevolezza come musicista è cambiata radicalmente dopo questa esperienza.

Cosa è che da Milano ti ha portato in America e alle sue atmosfere folk e blues? C’è stato qualche artista che ti ha influenzato e accompagnato in questo viaggio?

I miei ascolti da ragazzo sono sempre stati orientati più verso il filone americano che quello inglese. Dal garage, al punk il mio percorso di ascolti è iniziato lì. A cavallo tra fine ’60 e primi ’70 con band come Velvet Underground, The Stooges, MC5, New York Dolls, Ramones. La mia ricerca si è poi spostata verso il folk e il blues con artisti come Johnny Cash, Neil Young o Robert Johnson. Le mie radici americane derivano tutte dai miei ascolti. Non credo che in questo viaggio ci sia stato un artista in particolare, forse Vincent Gallo, per quelle sue ballate scarne e tremendamente romantiche, ma credo che in realtà il mio sound sia un po’ una summa, reinterpretata a mio modo, di quello che ho assimilato in passato.

Ascoltando “Love In A Dying World” le suggestioni che arrivano sono davvero tante. Sembra di vivere in un film western condito di spunti dark e decadenti tipici del cinema di Lynch. Trai ispirazoni anche da questo?

Sicuramente la base cinematografica del disco deriva anche dalle suggestioni che ho avuto ammirando i lavori di Lynch e di Jarmusch. Film, libri, quadri oltre che aspetti puramente autobiografici ispirano la mia musica.

Dopotutto “Love In A Dying World” è anche alla base dell’omonimo film di Samantha Stella, artista visiva e performer. Quali sono gli intenti di questa arte ibrida e dove è che possiamo recuperarne la visione?

Gli intenti sono quelli di indagare più aspetti della nostra arte che troviamo profondamente connessi. Oltre quello meramente musicale ci è sembrato quindi naturale sviluppare e creare anche un aspetto visuale, fotografico, filmico, che si potesse naturalmente accostare al disco. Il lavoro di Samantha ben si accosta alle mie visioni e alla mia musica. Parliamo lo stesso linguaggio e questo ci ha portato a concepire questo lavoro in maniera indipendente ma strettamente connessa. I dieci capitoli che compongono il film, proiettato in Italia in importanti musei di arte contemporanea e di musica, possono essere visionati sul sito di Artribune TV che li ha lanciati in esclusiva, o direttamente sul canale Youtube di Samantha Stella.

Il film, ma si può dire anche l’album, è ambientato tra i paesaggi desertici della California. Cosa hanno rappresentato per te questi luoghi? Quali sono i tuoi progetti nell’immediato futuro? Un tour magari?

Questi luoghi sono stati semplicemente la perfetta ambientazione e narrazione del mio sound. Niente come il deserto americano poteva rappresentare al meglio la mia musica. Al momento sono già al lavoro sul secondo disco e contemporaneamente continuo a promuovere “Love In A Dying World” con concerti sia in Italia che all’estero. Nei mesi scorsi è già stato fatto un tour di presentazione (incluse molte tappe straniere come Berlino, Lione, Londra, Ljubljana, Budapest), che ci ha visto portare sia l’album che il film in molti contesti diversi quali club, teatri, musei e gallerie d’arte.

Le domande sono terminate. Ti ringraziamo Nero Kane per essere stato con noi e averci dedicato del tempo. Ti lasciamo lo spazio per aggiungere ciò che vuoi e salutare al meglio chi ti segue e i lettori di Music.it che ti hanno conosciuto! A presto.

Grazie a voi. Invito i lettori che non mi conoscono a prendersi del tempo per conoscere o approfondire la mia musica (qui il link al sito ufficiale) perché non solo è un prodotto assolutamente atipico per il panorama italiano, ma è anche in primis bella musica. Non lo dico con superiorità ma con consapevolezza. E credo che alla fine tutto parta da qui. Dal fare qualcosa di bello che possa nutrirci realmente e darci nuovi stimoli e visioni.