Diamo il benvenuto a Francesco Tardelli, in arte Nesli! Ciao Francesco, è un piacere ospitarti sulle pagine di Music.it! Dunque: di solito cominciamo le interviste domandando un aneddoto che leghi l’artista alla musica. Ecco, a te voglio chiedere: quand’è che hai realizzato che avresti fatto musica?
Ricordo esattamente che quand’ero bambino e cantavo sul divano, dicevo “non diventerò mai un cantante” perché ero stonato come una campana. Ho il ricordo nitido di quando ho pensato che non avrei mai potuto farlo come lavoro. Poi, non so come, mi sono ritrovato a fare il cantante! In realtà non ho mai deciso di fare altro, né ci ho mai pensato. Faccio questo lavoro da quando ho 17 anni più o meno. Il primo demo l’ho fatto a quell’età. Ho iniziato sin da subito a suonare in giro, ovunque, come un pazzo. A produrre i miei dischi, i dischi di altri. Ho sempre fatto questo e non mi sono mai posto il problema.
A questo punto si fa interessante domandarti come definiresti la tua carriera di cantante che, dagli inizi rap, in un qualche modo è cambiata. Considerando, appunto, che non sapevi che l’avresti intrapresa!
Beh, intanto rap è un concetto relativo. Nel senso che io lo facevo quando non era così popolare. È un genere che adesso sta in bocca a molte persone, però io ero diverso già nel rap di fine anni ’90, primi ’00. Era un rap molto diverso, il mio, da quello che c’era in giro. Se vai a vedere, i miei dischi rap precedenti non hanno featuring con la scena rap dell’epoca. Mentre invece nel rap è usanza avere lo stesso pubblico. Anche lì, non ero prettamente un rapper o comunque, non uno in via del tutto canonica. Ho sempre fatto un po’ i cazzi miei. Senza presunzione, posso dire di aver inventato un genere musicale. Nel senso che ho aperto un sentiero che aveva iniziato Neffa tanto tempo prima, ma che poi abbandonò e che io in un qualche modo ho ripreso e portato avanti. E devo dire anche con grandi soddisfazioni.
Parlamene.
Nel senso che artisti come Ultimo, Irama e tanti altri di questo genere non sarebbero
potuti esistere se un pazzo come me non si fosse presentato a Sanremo nel 2015 a cantare una canzone prettamente pop pur non venendo da lì. Sono stato il primo a fare crossover nel panorama, quando ancora non era identificabile. Diciamo che mi sento anche fortunato ad aver fatto questo tipo di carriera.
Una curiosità, prima di passare a parlare del tuo ultimo disco: se e come sono cambiate le tue ispirazioni?
Sono molto cambiate. Prima ascoltavo molta più musica. Non so se è qualcosa legato al tempo, al crescere, ma davvero ascolto molta meno musica rispetto a prima. Scrivo molto meno, ma quando lo faccio, cerco di farlo con un senso. Stando alla tua domanda, l’ispirazione è un concetto molto relativo. Quando sei ragazzino sei mosso da tante dinamiche della vita, da entusiasmi. Crescendo, non può essere la stessa cosa. Rimarresti un immaturo, un eterno ragazzino. Quindi le mie ispirazioni sono cambiate. Poi, questa ondata di musica liquida, vaporizzata all’interno di quest’ applicazione io la disapprovo totalmente. Mi ha portato ad ascoltarne meno. Quando c’è tanta scelta, non si sceglie niente. Se hai tutto non hai nulla. La musica è diventata un jingle nella vita instagrammata delle persone. Mentre per me è un lavoro, una passione, una vocazione. La mia ispirazione è slegata dalla musica. È la mia vita, il mio sguardo.
E quando l’ispirazione è artistica e comunque non musicale?
Il cinema. Soprattutto quei film che ti lasciano col peso della riflessione addosso o che ti fanno valutare e scoprire un punto di vista che da cui non avevi guardato. Secondo me l’arte in genere dovrebbe fare questo. Non dovrebbe dare soluzioni, ma porre domande e farti spostare il punto di vista. Il cinema è una fortissima fonte d’ispirazione per questo. E ti dirò una cosa che magari è assurda per altri, ma non per me: la natura. La natura è una gigantesca forma d’ispirazione per me. Ne sono completamente attratto, essendo io un’animaletto selvatico.
E allora, rispetto a “Vengo in Pace” ti chiedo: da dove viene la pace e per chi?
La pace viene da uno che è sempre stato in guerra. Uno che conosce la guerra e che ce l’ha nel sangue. La vita è un processo di guerra, ti addestra ad essere in guerra. È una contraddizione, un paradosso lo so. Ma è la vita ad andare esattamente così.
Si può dire che tu con “Vengo in Pace” hai voluto concludere proprio questo discorso iniziato nel 2015 con “Andrà Tutto Bene”, e seguitato con “Kill Karma” nel 2016?
Sì, direi di sì. In questo caso poi, io la intendo una trilogia anche nei termini di un contratto discografico. Quando firmi, di solito ti offrono tre dischi. Con tre dischi uno può fare e tentare di costruirsi una fetta di carriera importante e quindi un po’ tiri le somme. In questo identifico una trilogia, non perché sono un pazzo che vedo le cose a tre a tre. (ride)
Esiste un messaggio a cui comunque tendi?
Per quanto rischioso sia dire questa cosa, a me piacerebbe che dal modo di scrivere arrivasse una certa responsabilità. Io non sono uno che vuol far la morale, il buonista. Lungi da me. Però, mi rendo conto che viviamo in un’epoca in cui nessuno si assume la responsabilità di nulla. Dal ragazzino col telefono in mano al direttore d’azienda. E con le canzoni, io vorrei dare un peso, un senso e un contenuto affinché magari possa creare un senso di lucidità per le persone che ascoltano. Tanto più che siamo in un’epoca di musica di merda che non dice nulla. Non perché la mia sia bella e dica qualcosa, ma almeno ci provo.
Ti faccio un’ultima domanda, che è la mia di rito: qual è il concerto che Nesli non può perdersi?
Sicuramente, quello che non puoi perderti tu è quello della mia prossima data del tour! Poi, ti dirò: bella domanda, accidenti! Penso, Ólafur Arnalds. Lo conosci?
Eccome! Colgo infatti questa piacevole scoperta per salutarti con l’augurio di incontrarti anche a un suo concerto! Un ultima parola per i nostri lettori?
Grazie a Music.it! E… ci si vede in tour!