Diamo il benvenuto su Music.it a Sara Loreni. Una domanda per rompere il ghiaccio: raccontaci qualcosa di divertente o imbarazzante che ti è successo in studio o su un palco.
Siamo sul palco della Festa del primo maggio in Piazza Maggiore a Bologna, un concerto a cui tengo moltissimo e per il quale ci siamo preparati bene. Saliamo sul palco e ci mettiamo nelle nostre postazioni. Aspetto che Martino parta. Suona ma non esce nessun suono, i backliner iniziano a muoversi dietro le quinte, c’è un silenzio molto nervoso. Guardo Francesco, guardo Martino: panico. L’unico strumento che funziona è la mia loop station. Cambio scaletta e improvviso un pezzo. Fortunatamente in quei 3 minuti le cose si sono risolte.
Parliamo di “Neve a maggio”, come nasce questo brano e dove vuole arrivare?
Ci sono brani pensati, cesellati, rivisti più e più volte, e poi ci sono brani che nascono in 5 minuti perché li senti, li hai già dentro, “Neve a maggio” è uno di questi, si è scritto da solo. Il retroscena è: ero rimasta fortemente colpita dalla nevicata del 5 maggio 2019 in Emilia Romagna, inoltre stavo riflettevo sulla socialità virtuale contrapposta alla solitudine reale della nostra società, aggiungi che ho sempre amato le contraddizioni e i paradossi, ed ecco fatto.
“Neve a maggio” racconta l’inquietudine e la solitudine in questi giorni così “particolari”. Cosa pensi che verrà dopo? Come saranno le persone una volta che tutto questo sarà finito?
Voglio credere che questo periodo sia servito a prendere consapevolezza dei nostri limiti di esseri umani, delle connessioni che ci legano l’uno all’altro senza esclusione, dei danni che abbiamo fatto all’ambiente e agli animali che lo abitano, della necessità di reinventare il nostro stile di vita. Voglio crederlo, ma temo che non tutti si pongano le domande necessarie e temo anche che le persone non cambino così velocemente.
E per quanto riguarda la musica? Cosa verrà dopo? Quale futuro ci sarà per Sara Loreni e per “Neve a maggio”?
Me lo chiedo ogni giorno ma la verità è che non lo so. Siamo in un periodo di transizione, vogliamo fare le cose di prima, nello stesso modo di prima, ma non è possibile. L’anormalità sta diventando la nostra normalità, il “dopo” è troppo imprevedibile e quest’anno lo ha dimostrato. Penso all’oggi, l’unica cosa da fare, anche in questi tempi, è lavorare ogni giorno con impegno. Resistere.
Quale è stata l’esperienza più significativa che ti ha portato fino a “Neve a maggio”? Perché?
Se non avessi rinunciato anni fa a un contratto a tempo indeterminato per dedicarmi completamente alla musica “Neve a Maggio” probabilmente non ci sarebbe stata. Da quel momento ogni esperienza è stata essenziale. Lo studio, l’ascolto, la ricerca, la curiosità, la voglia di analizzare, descrivere, trattenere, soprattutto le cose che sono apparentemente piccole, i dettagli.
Come nasce il tuo “rapporto” con la loop station? Come descriveresti questa scelta?
Inizia diversi anni fa dalla volontà di sperimentare con la voce e di ottenere più autonomia nelle esibizioni. Era uno strumento che si vedeva poco in giro, mi stuzzicava tantissimo. Ho iniziato così un po’ per gioco, un po’ per necessità. Negli anni è diventato un rapporto intimo, confidenziale, mi permette di doppiarmi, triplicarmi, quadruplicarmi, di creare atmosfere sonore molto interessanti.
Come ti trovi nella scena musicale italiana? Cambieresti qualcosa? Perché?
Mi piacerebbe che ci fosse più curiosità e una maggiore differenziazione. C’è poca “stranezza”. Le proposte indipendenti, ma non solo indipendenti, a livello internazionale offrono stili, linguaggi e sonorità che osano molto di più, c’è maggiore libertà. Qui anche l’anticonformismo spesso è conforme a qualcosa.
Ultima domanda, “Fatti una domanda e datti una risposta”. Che ci dici?
Cosa ti piace della musica? Il modo in cui la musica mi trasforma.