Se Amazon Prime avesse commissionato a I Cani Sciolti la realizzazione di un adattamento del romanzo “La svastica sul sole” di Philip K. Dick, non avrei abbandonato la visione di “The Man in the High Castle” dopo poche puntate. “Sotto Il Sole L’Oscurità” è uno di quei pochi spettacoli che vale la pena vivere. Prendendo spunto dal libro, e in parte dalla serie tv, Luca Pastore localizza il suo testo per il pubblico italiano e lo proietta in un vicino futuro dominato dal Grande Reich. Questo approccio dona nuova linfa vitale al materiale d’origine, regalando allo spettatore interessanti spunti di riflessione.
La storia segue le vicende di Martha Himmler, nipote di un alto gerarca del Regime. Dopo il presunto assassinio del nonno, scopre una bobina che potrebbe far crollare il castello di bugie che tiene in piedi l’assetto politico europeo. Il video mostra infatti la vittoria degli Alleati e la storia americana come la conosciamo. Tra giochi di potere e intrighi di palazzo, “Sotto Il Sole L’Oscurità” regala allo spettatore un’ora e mezzo di adrenalina. Mettendolo in condizioni di assaggiare gli orrori di un nazicomunismo lontano e tremendamente attuale, che riesce con la propaganda a instillare paura e illogicità nel pensiero comune.
I Cani Sciolti portano in scena un lavoro attoriale certosino, che si evince attraverso lo studio delle voci e dei tic di ogni singolo personaggio.
Tre torri dominano e si muovono attraverso il palco, con un gioco scenografico tanto semplice quanto spettacolare. Sono il pulpito da cui il Führer aizza le folle, le camere di controllo da cui Eva spia il ministro Mifune. Sono le stanze di Von Stroheim, il covo dei Caccialupi e i recinti di Auschwitz. E grazie a un ottimo lavoro di luci e alla martellante colonna sonora di Mattia Yuri Messina diventano personaggi vivi che partecipano all’azione. I videogiornali del Regime completano e aumentano lo spazio scenico, rendendo di fatto “Sotto Il Sole L’Oscurità” un’esperienza totalizzante. O forse sarebbe meglio dire totalitaria.
I Cani Sciolti portano in scena un lavoro attoriale certosino, che si evince attraverso lo studio delle voci e dei tic di ogni singolo personaggio. Biagio Iacovelli è un temibile führer. Paranoico calcolatore in privato, diventa un inquietante maestro di cerimonie quando si rivolge al pubblico. Lungi da essere una macchietta, nonostante i tanti richiami gestuali al più tristemente celebre dittatore tedesco, spaventa lo spettatore per il suo straordinario carisma. Matteo Cecchi sembra invece essersi ispirato ai modi e al linguaggio fascisti per la creazione del suo generale, così viscido e viscerale. Eppure malinconicamente umano.
I videogiornali del Regime completano e aumentano lo spazio scenico, rendendo di fatto “Sotto Il Sole L’Oscurità” un’esperienza totalizzante.
Matteo Antonucci regala la performance più fisica, con un Thomas quasi acrobatico. E porta a casa il monologo più commovente e umano dell’intera pièce. Miriam Messina e Ludovica Avetrani rappresentano magistralmente il nero e il bianco del Lupo, con registri opposti ma ugualmente credibili e affascinanti. Da una parte troviamo una Eva sopra le righe, meccanica e nevrotica. Dall’altra un Ministro Mifune freddo e sensuale, quasi tarantiniano nelle sue contraddizioni. L’alchimia e la bravura della compagnia riescono a mascherare ogni (quasi invisibile) imperfezione, comunque comprensibile vista la complessità della messa in scena.
A Martina Caronna e Claudio Filardi sono toccati i personaggi più difficili. Quelli più veri e difficilmente caratterizzabili. Sarebbe bastato poco per rompere la sospensione dell’incredulità, eppure i loro giovani protagonisti riescono a convincere. Lo fanno nonostante repentine evoluzioni che non hanno trovato spazio per essere riportate dettagliatamente in scena. Forse delle meccaniche più esplicite avrebbero reso la trama più lineare. Ma si tratta di uno spettacolo che è stato pensato e portato a teatro con una grande attenzione al dettaglio. Se Luca Pastore ha deciso di occultare alcuni conflitti, lo ha fatto con cognizione di causa.
Se Amazon Prime avesse commissionato a I Cani Sciolti la realizzazione di un adattamento del romanzo “La svastica sul sole”, non avrei abbandonato la visione di “The Man in the High Castle” dopo poche puntate.
Potrei e vorrei spendere qualche centinaio di parole per ribadire la bravura di questo cast e questo regista. Ma risulterei ridondante. E non ho mai imparato a fare i complimenti come si deve. I Cani Sciolti sono tutto ciò di cui ha bisogno il teatro romano in questo momento. In un mondo ideale dovrebbero poter contare su grandi produzioni, ed essere presi da esempio per chiunque si avvicini al palco. I meritati minuti di lunghi applausi alla fine di “Dopo Il Sole L’Oscurità” sono la prova che il teatro può essere popolare e veicolare contenuti alti. Può mettere in scena azione e violenza e lanciare messaggi di pace senza tema di fare facile moralismo.
Qualora non sia stato chiaro: andate a vedere I Cani Sciolti al più presto. Godetevi “Sotto Il Sole L’Oscurità”.