Oggi 16 Maggio 2019, gli scaffali dei negozi di dischi dovranno far posto a un nuovo album. Si chiama “Steps” ed è il disco che segna il debutto da solista del poliedrico artista toscano Marco Cocci. Io non ne sono certa, ma credo fosse a Tagliacozzo la prima volta che ascoltai Marco Cocci cantare. Era la prima edizione della “Festa della Birra”. Era di Luglio, o Agosto. Sicuramente era il 2000. Non riuscii a vederlo. Né lui, né la sua band. Ma ricordo perfettamente che a un certo punto partirono i Pearl Jam. Io lavoravo in un bar a poche centinaia di metri di distanza dal palcoscenico adibito e rovesciai un cono gelato mentre “Alive” risuonava lungo il viale del mio paese natale. Marco Cocci lo avevo conosciuto grazie a “Ovosodo”, la deliziosa pellicola di Paolo Virzì in cui lui interpretava Tommaso, l’amico di scuola che chiunque ha desiderato avere.
Oggi, 16 Maggio, esce un nuovo disco. Si chiama “Steps” e segna il debutto solista del poliedrico artista toscano Marco Cocci, il caro Tommaso di “Ovosodo”.
Ebbene, quell’estate di diciannove anni fa scoprii che Marco Cocci cantava nei Brain of Jam le canzoni dei Pearl Jam. Ripeto, non ne sono certa. Magari quest’evento io l’ho sognato. Ciò che è certo, è che Marco Cocci canta. E lo fa anche nei Brain of Jam. Ad ogni modo, nel 2008 lo ritrovai in una biblioteca di Firenze. Cercavo tali Malfunk. Consigliati da un amico che suonava la chitarra e voleva fare il regista. Aveva un gusto musicale sorprendentemente affine al mio. Tra i CD in prestito trovai “Randagi”, l’ultima pubblicazione della band. Me ne innamorai. Rock e sangue a profusione. Di conseguenza, amai anche un po’ Marco Cocci, il quale sì, era proprio il cantante. Questa la mia storia dell’incontro con Marco Cocci – l’attore – e la sua musica.
In verità, la carriera artistica di Marco Cocci ha sempre viaggiato su binari che intrecciassero musica e cinema. Prima dei Malfunk e prima ancora di “Ovosodo”, il nostro debuttò al microfono con i fiorentini Sativa, la sua prima band. Sono trascorsi oltre vent’anni. Adesso, è la volta di un nuovo allettante debutto. “Steps” è un disco auto-prodotto che raccoglie gli ultimi cinque anni di vita dell’artista. 13 brani cantati in inglese dov’è l’elemento acustico a creare quel particolare mood per cui ci si imbatte nei sentieri tracciati, lungo le orme dei passi avvenuti. “Steps” è un viaggio che pare debba compiersi al tramonto e che pure sorprende per la freschezza, la delicatezza del paesaggio che evoca. L’architettura melodica, ricca di suggestioni, risulta familiare e dolce. Anche quando più ruvida e contaminata.
“Steps” è un viaggio che pare debba compiersi al tramonto e che pure sorprende per la freschezza, la delicatezza del paesaggio che evoca.
“While everyone sleeps”, brano d’apertura, prepara l’animo a un raccoglimento intimo. Avvolgente e solitaria, scorre sognante e vagamente triste. Segue “Love Song”, più ritmica e rock, come del resto buona parte di “Steps”. “White Quite Place” e “As the sun” sono la leggerezza della chitarra di un luminoso Eddie Vedder. “Cry” sfoggia un minuto di malinconico pianoforte alla Damien Rice. Brani che più differiscono sono “Trouble” e “Blue Boy”. Nel primo, il graffio della voce di Marco Cocci riveste l’economia della tastiera che col synth crea l’atmosfera di un sogno lucido e teso. Nell’altro, leggere distorsioni vanno a mescolarsi a una vocalità stridula che pare racconti un istante di follia. Dentro “Steps” si respira il calore di un vissuto umano che può abbracciare quello di chiunque sia ancora in cammino. “Steps” è il disco che si vorrebbe in viaggio mentre si fa a staffetta con la natura, benedetti dalla luce del cielo.