Ciao The Monkey Weather, cominciamo questa intervista con toni irriverenti. Avete qualche episodio divertente, imbarazzante accaduto durante le vostre prove o esibizioni?
Ciao. Possiamo dirvi che ne siamo zeppi!! Possiamo partire da tutte le volte che cerchiamo di uscire dalla “zona di comfort” delle nostre postazioni durante i live e andare verso il pubblico e puntualmente ci si stacca un cavo facendo risaltare in maniera esagerata l’annessa imprecazione; di quella volta che durante il tour con i Kasabian mentre eravamo riusciti ad avere un colloquio con Tom Meighan, il nostro Miky lo ha bruscamente interrotto per comunicarci che aveva trovato un sacchetto di patatine aperto rendendo inutile ogni conversazione successiva…
Credo che gli episodi siano infiniti…
… di quella volta che abbiamo conosciuto Skin e Emma Marrone nel backstage del concerto degli Skunk Anansie a Gallipoli dove Jolly è riuscito a far conversazione per 10 minuti con Skin senza capire nulla di quello che diceva e dove Miky e Jolly sono riusciti a strappare un selfie ad Emma Marrone non dopo qualche diverbio; di quella volta che abbiamo fatto open act ai Twenty One Pilots e qualcuno degli addetti ai lavori del locale ci ha mangiato le pizze che avevamo per cena… insomma ci vorrebbe un’intervista solo su questi aneddoti!
The Monkey Weather, presentatevi nel miglior modo possible.
C’è solo una prima occasione per fare una buona impressione. Siamo 3 fratelli che amano suonare, scrivere canzoni e fare festa. Amiamo la musica, amiamo la vita e sì, anche quella cosa lì.
Passiamo ai toni nostalgici. Tra le vostre esibizioni live spicca sicuramente lo Sziget Festival a Budapest. Cosa ha rappresentato essere parte di un festival così grande?
Sicuramente una sorpresa e un’esperienza indimenticabile. Anche mentre stavamo partendo non riuscivamo a crederci. Lo Sziget Festival è una di quelle cose da fare almeno una volta nella vita. Anche solo da spettatore. Figuriamoci entrare con il pass Artist. Ce lo ricordiamo come il parco divertimenti della musica, una sorta di Paese dei Balocchi. Ci siamo rimasti 4 giorni dopo aver suonato. Una sorta di vacanza premio, un’esperienza di vita che non dimenticheremo mai.
Nati artisticamente nel 2010, più vicini al Regno Unito che all’Italia, questo anno avete scelto di scrivere “Matilda” interamente in italiano.
Perché questo cambio di rotta?
Come artisti cerchiamo di non fermarci mai. Di non essere mai sazi. Era un po’ che ci scervellavamo su come fare per compiere quel passettino in più dopo 3 album. Ed ecco che un bel giorno, durante la grigliata del 1° Maggio, il nostro amico/confessore/editore Kappa ci “lancia” la sfida: «riuscireste a mantenere il vostro sound ma con un testo in Italiano?»; potevamo tirarci indietro?! Giammai! Dopo solo due anni di estenuante lavoro conditi con una dose massiccia di litigate per tutto, annaffiate con dell’ottima birra per fare la pace, eccoci pronti a farvi sentire il frutto delle nostre fatiche.
Il vostro rapporto con la musica nasce durante un viaggio tra Londra e Liverpool. Rispetto al Regno Unito, industria immortale di musica, cosa, secondo voi, manca alla produzione musicale italiana?
Tutto e niente. Non sapremmo indicare una risposta. L’industria musicale inglese ha sempre avuto una marcia in più ma anche perché culturalmente, quando negli anni ’50/’60 è esploso il pop, era anche al centro di profondi mutamenti di costume e società. I commerci erano fiorenti, era fiorente la contaminazione culturale. Non a caso le grandi città portuali hanno visto la nascita delle più grandi band del mondo. Da lì in poi se volevi far musica dovevi andare in Inghilterra ed è stato un continuo progredire. Anche perché forse lì il musicista è un artista e come tale rispettato. Non gli dicono di trovarsi un lavoro di giorno se il suo lavoro è suonare la sera.
E in Italia invece?
L’Italia culturalmente viene da una tradizione drammaturgica importantissima. Si poteva variare sul pop solo mantenendo il bel canto. Pensate a quanti hanno contestato Lucio Battisti perché secondo loro “cantava male”. Analogamente all’Inghilterra ma con qualche anno di ritardo, le città portuali hanno dato i natali ad importanti scuole, pensiamo alla scuola genovese o alla Napoli di Pino Daniele. Ma è sempre stato un po’ un rincorrere. Anche per i motivi di collocazione sociale del musicista o del facente parte del mondo della musica in generale. Oggi le nuove piattaforme di ascolto della musica ti permettono di usufruire di una quantità enorme di dischi. Grande quantità porta anche a un po’ di spersonalizzazione, di dispersione. Forse in Italia manca qualcuno che sia trasversalmente un rappresentante del mondo musicale.
Secondo voi, quindi, manca un leader musicale…
Facciamo un esempio: dopo questo periodo di lockdown in Inghilterra i grossi nomi “capitanati” da un certo Paul McCartney si son fatti sentire dal governo a tutela dell’industria musicale.
In Italia i grossi nomi si sono limitati ad annunciare il tour del 2021. Manca coesione, manca pensare ad un progetto più grande, che non lasci indietro nessuno “Matilda”, il vostro ultimo singolo, parla di rinascita e soprattutto di voglia di evadere dalla solita routine.
A voi, come gruppo, è mai capitato un calo creativo? La voglia di mettersi in pausa?
Certo che sì. Per diversi motivi: noia, risultati che non sempre arrivano, tempi morti, date con pane e vuotella. Ma poi arrivava il giovedì e senza sapere bene perché eccoci di nuovo in saletta con la voglia di ricominciare a suonare, scrivere canzoni e spaccare il mondo. Qualcuno una volta ha detto che è quello che si frappone tra te e il sogno a rendere il sogno reale. Le pause servono a poco. Nostro nonno diceva sempre “il fa’niente non ha mai lavorato e tra qualche anno sarai in pausa per sempre”.
Avete scritto testi scegliendo come dominante la lingua inglese. Quali sono, invece, i vostri cantanti italiani modello?
Ognuno di noi ha i suoi personali che ricalcano un po’ i riferimenti giovanili. Possiamo partire dalla scuola cantautorale: Fabrizio De André, Francesco Guccini, Ivan Graziani, Franco Battiato, Lucio Battisti, Lucio Dalla, Vasco Rossi. Poi possiamo citarvi i Subsonica, i Bluvertigo, Daniele Silvestri. Oppure i Canova, i Ministri e Brunori Sas, Motta, Ermal Meta. In realtà poi in questi ultimi anni abbiamo ascoltato tantissima produzione italiana proprio per cercare di creare un collegamento con le nostre sonorità. Abbiamo scoperto artisti molto validi: è stato un lavoro stimolante.
Bene. L’intervista è conclusa. Potete chiedere qualsiasi cosa al nostro pubblico rimanendo decorosi, mi raccomando.
Cercateci, streammateci, condivideteci. Speriamo di vedervi presto sotto il palco. Grazie di cuore.