Un titolo che si costruisce come citazione della terza traccia dell’EP d’esordio degli Atertrip. «Take my hand and feel the wind between your hair», canta Greta Salvalai nel ritornello di “Spark”. Piuttosto lungo per essere un EP, la band modenese si dona al pubblico con un’opera prima decisamente matura. Nella passione per la musica che li ha uniti sotto la bandiera degli Atertrip, la band ci fa innamorare di nuovo di tutto ciò che di buono il rock, progressivo o meno, ha prodotto, soprattutto nelle isole britanniche. Che non è poco. I Genesis vengono incrociati con le atmosfere elettroniche e mod dei The Who. Non sono rimasti impermeabili alla dance anni ’80 ma neanche alle vibrazioni nevrotiche dei Cranberries, soprattutto per quanto riguarda la vocalizzazione della frontwoman.
Una composizione interessante che va sicuramente tenuta d’occhio. Già nell’intro di “From Here”, gli Atertrip improntano una struttura invertita, per cui addio ad ogni ordine gerarchico strumentale. Giocando con abilità, la chitarra è un’attrice secondaria. Sulle pennate elementari, quasi da spiaggia, si innesta il riverbero del basso che, insieme alla batteria di Federico Bedostri, articola linee melodiche piuttosto arzigogolate: Federico Salvarani sposa l’armonia col ritmo. Il virtuosismo prog emerge dal sapiente uso del sintetizzatore da parte di Eleonora Ricci reinventando la base ritmica stesa con chiare pennellate dalla sei corde. La valida alternativa che accompagna una finale inaspettatamente resiliente per il mito di Icaro, che continua a volare vicino al sole.
Il viaggio degli Atertrip in “The Wind Between” è volto alla scoperta dell’Altro, sopratutto musicale e artistico
La terza traccia, “Ghostwriter”, è strumentale. Già con “Sparks” Tommaso Marchesini era stato parzialmente liberato, ma qui danno libero espressione al suo tocco. Nonostante i suoni si incupiscano, le distorsioni sono dosate per restare in un confine immaginario che gli Atertrip non sembrano voler varcare. Nonostante le suggestioni post-rock di “The Wind Between”, non lasciano che l’entusiasmo e il fomento prendano il sopravvento sulla compostezza. Quasi come se non volessero correre il rischio di perdere il controllo sui suoni per sfociare in un possibile prog-metal. La leggerezza dei groove di “Hidden Sights” si inscrive perfettamente in questo panorama di tentazioni performative.
In “Hidden Sights” l’Altro si fa rifugio e specchio delle proprie insicurezze: «I’m just waiting \ For your eyes to \ Shelter my self». Gli Atertrip inseriscono in questo modo un’inaspettata spaccatura tra la serietà quasi pedante del testo e l’atteggiamento ludico delle linee sonore che rincorrono gli Atertrip. Per quanto “Closure”, brano di chiusura, abbia la forma della ballata, la band di Modena sembra burlarsi di ogni tenero sentimentalismo. L’intimismo della traccia è solipsistico: la lirica dunque è un monologo motivazionale, che incoraggia a ricollocare le coordinate del proprio percorso. Si riverbera attraverso sfumature più vintage dell’entourage sperimentale scelta. Un ottimo assaggio quello di “The Wind Between”, che sazia col suo minutaggio disteso. Chissà se le intuizioni più radicali di “Sparks” e “Ghostwriter” verranno approfondite in un secondo lavoro.