Oggi abbiamo il piacere di scambiare qualche parola con i The Zen Circus. Avete da poco pubblicato il vostro ultimo album âLâultima casa accoglienteâ. Vorrei iniziare dal vostro punto di vista. Cosa è cambiato negli Zen Circus da âIl Fuoco in una stanzaâ ad oggi?
La musica è sempre il fulcro delle nostre vite. Questi ultimi 3 anni sono stati i piĂš densi della nostra storia, ed hanno portato ad una crescita organica e sana del pubblico, ma anche, grazie al libro uscito nel 2019, ad una crescita dellâempatia con chi ascolta le nostre canzoni. Câè sempre stato un rapporto forte e stretto con loro; in questâultimo periodo è diventato ancor piĂš saldo.
Siete cresciuti davvero molto in questi anni, e con voi anche il vostro pubblico. Le vostre canzoni passano in radio, in televisione, e molti ascoltano le vostre parole. Ora sentite addosso qualche tipo di responsabilitĂ nei confronti di chi vi ascolta? Questo cambia un poâ i vostri orizzonti musicali?
Assolutamente no [ride]. Scriviamo e suoniamo canzoni, non siamo un partito politico. Il concetto di responsabilità è legato allâetica, ovvero qualcosa che sta alla base della vita sociale e privata di ogni cittadino/a , un discorso che inizia ben prima di mettere piede su un palco.
In questo ultimo lavoro date molta rilevanza allâimportanza dellâessere umano e alla sua fragilitĂ , nonchĂŠ alla sua impotenza nei confronti del tempo. Raccontatemi come questi due aspetti hanno influenzato questo album.
La caducitĂ e la fragilitĂ sono due temi che, insieme allâossessione per lo scorrere ineluttabile del tempo, vanno a creare il corpus tematico di questo album. Corpi che diventano gabbie, corpi che si ammalano e deperiscono, ma anche corpi che si uniscono e si fondono facendo lâamore. Il tutto in una sfida perenne con il tempo che non si ferma, non si è mai fermato, la cui corsa accettiamo obtorto collo e subendola, ma prendendola anche come carburante per vivere il piĂš possibile.
Ascoltando questo lavoro, ho notato un utilizzo molto piÚ marcato degli strumenti digitali. Un utilizzo che però non ha minimamente snaturato il vostro stile. Come mai questa scelta?
In realtĂ questo è il nostro disco piĂš âanalogicoâ e suonato, registrato in gran parte come si faceva prima dellâarrivo del digitale, di ProTools e daw vari. Non câè editing, nessuna griglia da rispettare, nessuna correzione, pochi trigger ed un uso dellâeffettistica delle chitarre molto libertino, che può portare a confondere quei suoni con parti di synth. Ă il nostro album con lâinterplay maggiore tra quelli che abbiamo registrato nella nostra carriera.
Per chiudere vorrei chiedervi. Se poteste dare un consiglio ai voi stessi di 15 anni fa, cose gli direste? Câè qualcosa che non rifareste? (Ovviamente questo vale anche per tutti i ragazzi che leggeranno questa intervista)
Siamo fermamente convinti che gli errori formino in modo magistrale. Sono drammaticamente necessari. Tutto quello che abbiamo fatto ci ha portato (nel bene e nel male) ad essere quello che siamo oggi.
Grazie davvero per averci prestato un poâ del vostro tempo. Speriamo di vederci presto sui palchi!
Grazie a te!


