La cantautrice Veronica Marchi in una foto promozionale.
La cantautrice Veronica Marchi in una foto promozionale.

VERONICA MARCHI: “Ho cercato la vita, ho scavato in me, ho viaggiato”

Diamo il benvenuto a Veronica Marchi! È un piacere ospitarti sulle nostre pagine. Vorrei, per prima cosa, che ci raccontassi un episodio della tua vita da musicista. Un episodio che non hai mai rivelato a nessuno, e per cui ancora non hai deciso se piangere o ridere.

Avevo sì e no 11 anni, quindi nel pieno fervore del “non sono grande, non sono piccola voglio essere bella ma non ho capito come”. Era un periodo in cui io sarei uscita sempre con berretto e bomber, ma mia madre faceva vani tentativi di farmi capire che ero femmina. In sostanza, il fatto avvenne una sera in cui mi esibivo in un festival per bambini come ospite. Canto tutta convinta, faccio un inchino solenne a fine esibizione e, ovviamente non mi ricordo di avere il cerchietto nei capelli. Il cerchietto mi cadde a terra. Io nella vergogna più totale lo presi in mano e lo sventolai come un trofeo. Sperimentavo l’arte del camuffamento.

Quando è avvenuto il tuo primo contatto con la musica?

A 3 anni. Misi le mani sul pianoforte e suonai ad orecchio “Sapore di sale”.

Hai mai pensato di mollarla?

Ciclicamente, una settimana sì e una no. La musica è come tutte le cose che si amano davvero. Faticosa. Richiede un certo qual numero di crisi per essere amata davvero

Quando hai scritto la tua primissima canzone?

A 9 anni. Si chiamava “Cosa c’è”. Ovviamente era una canzone triste.

Esaurite le domande sulle prime volte. Spero. Sono passati sei anni dall’uscita di “La guarigione”. Cosa è successo in sei lunghi anni di silenzio compositivo per Veronica Marchi?

Tante cose, fortunatamente. Ho scritto tantissimo, io scrivo sempre molto. Ho cercato la vita, ho scavato in me, ho viaggiato, ho fatto un salto in TV, ho pubblicato un disco di cover. Ho fatto 300 concerti, ho fatto l’insegnante, prodotto qualche disco, scritto per altri. Ho accudito un cane e un gatto, amato, imparato a cucinare, cambiato 4 case!

Descrivimi con 4 aggettivi il tuo ultimo lavoro, “Non sono l’unica”.

Cambiamento, coraggio, autoironia, malinconia. Non sono aggettivi ma sono molti adatti a descrivere “Non sono l’unica”.

Ci stanno benissimo! Il disco mi è sembrato la biografia di una donna che in tutte le difficoltà, con se stessa e con gli altri, ce l’ha fatta. È corretto?

È corretto. In verità il cambiamento e la soddisfazione sono in crescita. Io ho scelto di farcela ogni giorno nel momento in cui ho accettato il fatto che non c’è un traguardo nella vita. Infatti è un percorso. Sembra banale e invece non lo è, come concetto.

Hai già diviso il palco con diversi nomi importanti della musica italiana. Cito Eugenio Finardi e Niccolò Fabi per dare un’idea ai nostri lettori. Per quale artista potresti morire a dividerci un concerto?

Parti dal presupposto che tanti sono morti! Però morirei per Damien Rice. Penso che se duettassimo io e lui sarebbe la sagra dei silenzi di sospensione tra una melodia e l’altra.

Tratti la tua voce come fosse metallo: sempre brillante, ma in forme diverse dice cose diverse. Ti troveremo mai a cantare cose tanto diverse? Propongo il grunge come esempio perché è una cosa che dista molto da ciò che di solito canti…

In verità ho fatto parte di una band rock alternative dalle venature psichedeliche, tra il 2003 e il 2008, i Maryposh. Prima di loro, da adolescente, cantavo punk rock con i The Joy Machine. Ho dato, credo! Però non si sa mai che mi torni la voglia…

Appena due anni fa facevi commuovere, oltre il pubblico, un complicatissimo Manuel Agnelli a X Factor. Che ricordo porti di quell’esperienza? Pensi sia stata formante per te?

È una cosa che rifarei esattamente come ho fatto. Ho dei ricordi difficili e forti, vividi e importanti. La tv non è mai una cosa bella, secondo me. La competizione ancora meno, così innaturale e alienante. Però la musica è dura. Richiede anche degli sforzi in ambiti che non ti piacciono. Non si può sempre stare nella comfort zone, perciò sono felice di averlo fatto. E comunque mi ha dato tanto.

Cosa consigli ai giovani emergenti, soprattutto cantautori, che tentano di non affogare nel grande mare della musica?

Io dico sempre e solo una cosa: scrivere cose belle, cercare la bellezza ad ogni costo perché tanto poi è l’unica cosa che resta.

Sei uscita da poco dalla produzione di “Non sono l’unica”. Ma chi si ferma è perduto! Altri progetti in cantiere?

Sto producendo 4 dischi nel mio studio Osteria Futurista a Verona. Sto scrivendo per me e per altri. Ho in cantiere due dischi per me e uno spettacolo teatrale. C’è da campà!

Noi qui ci salutiamo. Spero di risentirti presto!

Ciao a te e tutta la redazione. Grazie mille per le splendide domande.

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