Il proverbio vuole che il vino buono si trovi nella botte piccola. Di specie piccante e speziata è quello che si trova nella botticella dei Grammlò. Prodotto da La Cura Production e uscito alla metà del mese di giugno, “What?” il titolo della loro seconda opera. Ma d’altra parte è la sola esclamazione appropriata da parte dell’ascoltatore nell’assaporare ogni secondo dell’EP della band milanese. Nel sottobosco di suoni che Massimo Guzzetta, Marco Carboni, Tommaso Brillo, Gabriele Bertossi, Giovanni Sala e Davide Contento hanno miscelato insieme c’è davvero di tutto. A seconda dell’angolazione da cui si decide di prestare attenzione si aprono panorami sonori molto diversi.
Da una base funk agganciano un progressive che si fa via via più scuro, scivolando verso un rock robusto e graffiante. Neanche influenze nu metal sono escluse dai Grammlò. Salvo poi schiarirsi al comando del flauto, come se segnasse il passaggio dal crepuscolo all’aurora. Per esempio “The Bill”, la traccia d’apertura, inizia sommessa e sognante. Dopo che il corpo si è abituato a un certo ritmo, esplode in groove dal gusto afrobeat, reciso da un assolo al synth e ricucito ritmicamente dal flauto. Come un incantatore di serpenti o come il pifferaio magico, spesso all’interno di “What?” Massimo Guzzetta ristabilisce l’equilibrio iniziale della traccia.
“What?” dei Grammlò ha un’anima spiritosa e pungente
E poi c’è “Bad Day”, il brano nevralgico di “What?”, in cui i beat acustici sembrano diventare analogici, e il cantato tende al rappato. Qualcosa dei Red Hot Chili Peppers affiora dalla melodia, senza che costituisca la composizione. Con la title-track i Grammlò si fanno onirici. Dal sottosuolo emergono potenti più che mai quella sfumatura di prog che ha fatto grandi i Jethro Tull, ma con un piglio decisamente più ballabile. Con “Light Off” fioriscono contrappunti vocali dove ce ne erano solo di musicali. In chiusura, con “You Know Nothing” tirano in ballo il personaggio più deludente del “Trono di Spade”. Risulta impossibile non amarli, nonostante riaprano ferite da poco rimarginate.
Un filo molto sottile quello percorso dai Grammlò. Con “What?” convertono l’acustico in digitale tirando su una dance-hall in cui groove e funky la fanno da padroni. Con un ammirabile gioco di contrasti, tra tappeti di bassi e onde acute, tra spleen luminosi e tenebrosi costruiscono un ritmo in cui perdere i confini del proprio corpo. Spiritoso e pungente, sognante e accogliente al punto giusto, se bisogna trovare necessariamente un difetto al secondo EP dei Grammlò è la durata. Sebbene riavvolgere il nastro non risulta noioso, non si esce completamente sazi dall’ascolto.