Salve The Lansbury! Music.it è felice di ospitarvi tra le sue pagine! Rompiamo il ghiaccio con una domanda di rito: sapreste rintracciare un aneddoto imbarazzante, grottesco, folle a tal punto da non averlo mai raccontato a nessuno?
Ciao a tutti e tutte. Una cosa che ci divertì molto è successa durante il festival “MusicDoes” ad Aosta. Suonarono alcuni gruppi prima di noi, e Davide [Mura] che si ricorda a malapena i testi che scrive, ringraziò con calore i “Turu Turu”. Peccato si chiamassero Teru Teru. Siamo sicuri che ci hanno perdonato. O forse no.
Voi siete un trio di Torino. Quanto ha contribuito la scena musicale piemontese a mettere insieme il sound che ha dato vita al vostro gruppo? Ispirazioni particolari?
Essendo ognuno di noi cresciuto in una regione diversa dal Piemonte – Davide è sardo, Andrea [Oscar Carenzi] della Lombardia, Luigi [De Rosa] dell’Emilia Romagna – più che di influenze musicali potremmo cercare di parlarvi di influenze ambientali: Torino è una bella città, ma come tutte le grandi città è piena di contraddizioni. Probabilmente il suo caos, la sua pace, il suo smog e gli incontri fatti fra le sue vie, hanno inciso sulla nostra musica più della sua scena musicale.
Prima di addentrarci nell’ “Alba”, vorrei ci raccontaste la vostra storia. Come, quando e dove vi siete trovati?
Era la fine del 2016. Davide nel 2015 iniziò a scrivere dei brani, voce e chitarra acustica. Non aveva idea di quello che stava facendo. Erano per lo più sfoghi o rielaborazioni del proprio vissuto o di incontri fatti con altre persone. In quello stesso anno ha conosciuto Andrea Oscar grazie ad amici comuni. Circa 12 ore dopo, hanno iniziato a comporre partendo dai pezzi esistenti. Trasformato il suono acustico in elettrico, legato la linea melodica caratteristica del basso di Oscar a quella più ritmica della chitarra, hanno iniziato a cercare un batterista. Dopo diverse audizioni, guarda il caso, Luigi si trasferiva a Torino per studiare cinema. Et voilà, nel dicembre 2016 nasce il trio. Il caso ha influito molto, ma ci siamo subito trovati a livello musicale e umano. Ora lavoriamo con Claudio di BrutusVox Music ad un EP che uscirà in autunno – corona permettendo, ma siamo fiduciosi .
“Alba”. Un brano, ahimé, sempre attuale, ci complimentiamo per la profondità di pensiero e la prospettiva speranzosa e di rinascita che se ne cava. Vi andrebbe di raccontarci perché avete deciso di uscire allo scoperto, per così dire, proprio su questa tematica?
Siamo usciti con “Alba” perché tratta uno dei vari fenomeni che ci feriscono e di cui ci preme l’estinzione: la violenza di genere, figlia di una società patriarcale che ci sta molto stretta, che agisce sul piano culturale creando grandi diseguaglianze e, contemporaneamente, riesce a celarsi nel migliore dei modi infilandosi impercettibilmente sotto pelle. Siamo convinti che solo attraverso una profonda attenzione e riflessione la si può combattere.
Dunque, cosa cercate di stimolare con la vostra “Alba”?
Con il brano cerchiamo di stimolare al pensiero critico. Probabilmente per qualcuno sarà troppo violenta, in certe parti troppo arrabbiata, ma è proprio da lì che bisogna partire. Dal senso di smarrimento e di rabbia che ci fa realizzare di essere immersi in questa cultura. Di conseguenza ci auguriamo che i nostri ascoltatori e ascoltatrici si sensibilizzino e si schierino dalla parte di chi lotta per sovvertire una società in cui le donne devono essere belle, educate, timorate e disponibili mentre l’uomo, macho, padrone, prevaricante ed egoista. “Alba” è una delle tante brutte storie che caratterizzano una società in contraddizione, una società che ci vuole far credere di essere liberi mentre ci mette l’uno contro l’altro inchiodandoci a delle etichette.
Domanda un po’ scomoda, o forse più sciocca di quanto non credo: essendo voi un trio di uomini, avete riscontrato polemiche o difficoltà nel portare avanti un messaggio che parli di sopportazione tacita di violenza sulle donne e di “ri-disegnamento” di un’identità che, in fondo, non è esattamente la vostra?
È sicuramente un problema che ci siamo posti. Cercare un testo, una musica e in seguito delle immagini che potessero rappresentare questi argomenti non è stato semplice proprio per la paura di farlo superficialmente, o ipocritamente. Non c’è alcun modo in cui potremmo davvero vivere e sentire quello che si vive in determinate situazioni di oppressione o violenza di genere, questo è sicuro. Siamo consapevoli che l’essere uomini quindi ci nega una grossa parte di empatia, ma non ci impedisce di formare un pensiero critico di denuncia per qualcosa che troviamo inaccettabile. Come dicevamo, riteniamo che ci siano influenze culturali sulla violenza di genere da cui nessuno è mai del tutto salvo, quindi rifletterci su può aiutare a non sguazzarci dentro, o addirittura uscirne fuori.
Riguardo la produzione del videoclip: com’è avvenuta, cronologicamente, rispetto al brano? Mi spiego: sia brano che videoclip sono farina del vostro unico sacco: qual è stata la scintilla che è scoppiata per prima, la parola oppure l’immagine?
È nato prima il testo. Alba è stata poi arrangiata musicalmente due volte, perché inizialmente il brano era più lungo e con una ritmica meno veloce. Le idee su come girare il videoclip sono venute in seguito. Tutti e tre siamo in qualche modo legati al cinema, quindi abbiamo cercato di fare qualcosa che fosse un minimo diverso dal solito, seguendo un po’ quello che ci veniva in mente in base ad alcuni film preferiti.
Tipo?
Per esempio lo schermo che passa dal 4/3 al 16/9 classico è preso pari pari da “Mommy” di Xavier Dolan, lo confessiamo e ci siamo ispirati a “La pelle che abito” di Almodovar per l’utilizzo della seconda pelle. Avevamo bisogno di alcuni riferimenti per esprimerci attraverso un linguaggio non convenzionale, perciò un’inquadratura così stretta per il senso di soffocamento che pensiamo si provi in determinate situazioni, una seconda pelle bianca, per significare il senso di dispersione che si prova quando si viene annullati come individui per arrivare ad aprire lo schermo mentre straccia il vestito per sottolineare che lottando per se stessi e per gli altri un cambiamento, una rinascita è possibile.
Rispetto il presente più nero di oggi: come state vivendo la vostra quarantena?
È un periodo un po’ duro, ma non così duro come lo è per altre persone. Considerando le grosse difficoltà di certe categorie di lavoratori, molti dei quali non essenziali ma impiegati per garantire il profitto di pochi, dei migranti, dei detenuti nelle carceri, delle persone che hanno visto chiudere i centri anti-violenza e sono obbligate a rimanere chiuse, magari accanto al loro aguzzino, noi ce la passiamo piuttosto bene. Certo c’è un po’ di paura, più che altro per i familiari, ma la sensazione principale è quella di un caos ancora maggiore di prima.
Riuscite ad immaginare un cambiamento?
Magari i grandi cambiamenti che ci saranno dopo l’emergenza saranno anche positivi, e daranno una scossa importante a tutto quanto, chi lo sa. Anche come gruppo non è semplice: prima dell’epidemia stavamo registrando alcuni singoli che sarebbero dovuti uscire nei prossimi mesi, ma ad ora non sappiamo se e di quanto dovranno essere spostate le uscite, purtroppo. E i live, già… i live – o la possibilità di suonare live perlomeno – ci cominciano a mancare parecchio e la carica che stiamo accumulando speriamo di poterla sfogare con il pubblico al più presto. In ogni caso continuiamo a lavorare come possiamo, con alcune collaborazioni e, per non spoilerare i brani che vogliamo farvi conoscere nell’EP, ci stiamo dedicando a qualche cover, cosa che non abbiamo mai fatto.
Nominate cinque dischi che sono stati fondamentali per la vostra formazione.
Per quanto riguarda me, Luigi, direi “What Burns Never Returns” dei Don Caballero, “Daydream Nation” dei Sonic Youth, il primo album degli American Football; “Spiderland” degli Slint e “Loveless” dei My Bloody Valentine.
Davide: “Nostra signora della Dinamite” di Giorgio Canali, “Germi” degli Afterhours, “Come è profondo il mare” di Lucio Dalla, “Efflorescenze” degli Oceansize, “Catartica” dei Marlene Kuntz.
Per Oscar invece: “Siamese Dream” dei The Smashing Pumpkins, “Led Zeppelin” dei Led Zeppelin, “L.A. Woman” dei The Doors, “Non È Per Sempre” degli Afterhours e “Bleach” dei Nirvana.
L’uscita dell’EP è prevista per l’autunno. Possiamo ipotizzare di vedervi live?
Non appena tutto tornerà alla normalità, o quasi, sicuramente sì. La nostra speranza è quella di suonare in giro il più possibile, quindi si spera di riuscire a trovare locali, festival e luoghi vari dove poter fare un po’ di casino (e non solo acustici) in modo da presentare al meglio quello che è il nostro primo progetto che speriamo sia solo l’inizio di un lungo percorso.
Abbiamo finito. Prima di salutarvi, vi ringrazio per la disponibilità e vi domando di colorare il grigio di queste albe con una parola che risuona viva tra le mura delle vostre quarantene. Grazie!
Resistenza, resistenza attiva perché, per citare gli Aftehours: «Un uomo può distinguersi da un’ombra, se cerca di essere sempre causa di quel che gli accadrà».