Nella cultura greca l’epilessia era considerata il ‘morbo sacro’. Non era raro che sacerdotesse o oracoli ne fossero affetti. L’etimologia della parola sembra instaurare un collegamento tra l’inavvertibilità delle crisi con l’imperscrutabilità dei messaggi dall’eterno presente della divinità. Ian Curtis, frontman dei Joy Division, è stato un profeta. Sono trascorsi quarant’anni dalla sua scomparsa. Il punk, consacrato con i Sex Pistols, diviene definitivamente ‘post’ con l’uscita di “Unknown Pleasure”, inciso negli Strawberry Studios di Stockport. La band di Sid Vicious fu la molla che fece scattare il desiderio di rinchiudersi in sala prove per tirare fuori le inquietudini dell’anima. E Ian Curtis, il paroliere dei Joy Division, non ne aveva poche. Amante della storia, ragazzo prodigio sotto il fronte accademico, l’adolescente nacque a Stretford, villaggio alle porte di Manchester che negli anni è stato risucchiato dal grande centro.
La voce di Ian Curtis sembra provenire direttamente dagli abissi, emergendo tra gli strati di suoni psichedelici
Sono molte le dediche omaggio alla musica profetica dei Joy Division. Basti pensare ai The Cure con “The Holy Hour” e agli U2 con “A Day Without Me”. Atmosfere doorsiane si innestano su groove ipnotici. Il cantato cattura l’attenzione come le creste delle frequenze della stella Pulsar CP1919, derivanti dai neutroni, resti del collasso di una supernova. Un vero e proprio ‘effetti sdrobo’ si manifestò agli occhi degli scienziati. Questo è possibile solo perché le particolari radiazioni emanate dalla CP1919 erano visibili solo nel caso in cui fossero in linea diretta con la Terra. Questo sentimento di cupio dissolvi (desiderio di sparire, ndr) si sposava benissimo con le vibrazioni post-punk dei Joy Division. Inoltre, invertire il cromatismo del ‘gramma’ della supernova in decadimento, dà un’ulteriore sfumatura malinconica ad “Unknown Pleasure”. Purtroppo il ‘male sacro’ e la depressione cronica di Ian Curtis gli hanno riservato un posto d’onore nel ‘Club 27’.