Ciao, Avarello! Benvenuto su Music.it. Siamo soliti iniziare le nostre interviste con un aneddoto imbarazzante legato alla carriera musicale dell’artista. Raccontaci qualcosa di te che ancora nessuno conosce!
Ciao! Grazie per l’accoglienza. Aneddoti imbarazzanti… beh di certo la mia prima intervista è stata imbarazzante. Quel giorno avevamo appena finito di suonare con un mio vecchio progetto “Brumosa” per l’Umbria che spacca, quell’anno partecipammo ad un contest che ci diede questa possibilità… succede che dal nulla spunta una mega telecamera che ci punta e questa ragazza che comincia a fare domande… Nel video si vede la mia evidente agitazione e una mimica facciale degna delle migliori droghe (risate). Pessimo.
Parliamo delle tue influenze musicali. Quando hai cominciato a muovere i primi passi nel mondo della musica? Ricordi la tua prima canzone?
Mi hai fatto ricordare una cosa bellissima… Alle elementari per la mia prima gita scolastica mi feci preparare dei cd da una mia amica, che ai tempi era una liceale, con l’album “Mezmerize” dei System of a Down (tutt’ora il mio preferito) e Fabri Fibra a manetta, 8/9 anni e cantavo “Vaffanculo scemo”. Poi con il tempo sono passato da Fabri Fibra e i System of a Down a piangere con Dente e Brunori Sas…. quanto è strana la vita. (risate)
Quale è, secondo te, il ruolo del cantautore nella nostra società e cosa lo rende tale, degno di questo nome?
I cantautori inconsciamente ti fanno capire tramite le loro parole la società che vivono.
E penso che questo sia molto importante. Ascoltando uno Stefano Rosso e poi un Calcutta, capisci bene che una differenza c’è nel loro vissuto e sicuramente troveremo altre cose che li accomunano nel tempo. È importante, la trovo molto affascinante. Certi cantautori diventano delle vere e proprie rappresentazioni di specifiche generazioni. Come ad esempio gli The Zen Circus che rappresentano una gran fetta dell’Italia che gli anni 2000 li hanno vissuti.
«Ed è il principio dell’autodistruzione dell’amore che si insinua dentro il cuore» canti nel tuo nuovo singolo “Indigestione”. Potrà mai un amore essere veramente eterno? E cosa lo potrebbe rendere tale?
Non saprei, ragioniamoci su… Se ascolto il brano e chiudo gli occhi mi vengono in mente certe scene fatte di gesti e sensazioni, le ricordo bene, erano sicuramente piene d’amore; sono passati parecchi anni e le ricordo piene ancora, se tra 20 anni ascoltando “Indigestione” le ricorderò allo stesso modo… mi vien da dire che, sì, può essere eterno, in un certo qual modo… Nei ricordi… C’ha senso quello che ho detto? Fammi sapere.
Mi piace questo tuo ragionamento e sì, sono d’accordo! Invece, quand’è stata l’ultima volta che la vita ha sorpreso Avarello?
La vita… Giù non lo so, la vita mi sorprende parecchie volte. Se mi soffermo, mi sorprende anche in questo preciso momento, son le due di notte, rispondo alle domande che un magazine online mi ha fatto, che è uscito un mio brano qualche giorno fa, che tra poco più di due ore andrò a lavorare… c’è buio e tanto silenzio. E boh ma che succede? Quindi sì, nel bene e nel male succede parecchie volte.
Ora giochiamo: attribuisci un colore ed un sapore alla tua musica e spiegaci il perché!
Attribuirei il bianco che è la sintesi di tutti i colori e come sapore mi viene in mente di mangiare un’insalata… ogni tanto mangi il mais, poi col mais becchi l’amaro del radicchio. Una cosa del genere. (risate)
Cosa c’è nel tuo futuro, nuovi singoli in arrivo? Quando potremmo vederti live?
Nel mio futuro ho ancora tanto in mente, tante idee che aspettano solo il tempo per realizzarle. Ci stanno nuovi singoli in arrivo ovviamente e per quanto riguarda i live, spero di sì e il prima possibile. Vi aggiorno!
Avarello siamo arrivati ai saluti, ma lascio a te l’ultima parola: saluta i nostri lettori con una delle tue citazioni preferite! Ti ringrazio per essere stato con noi e a presto!!!
Bene, vi ringrazio! Un abbraccio a tutti i lettori. Non ho una citazione in mente in questo momento… Ma vi lascio con la frase di un mio brano, un mezzo spoiler: «Mentre ballo mi annoio».